Prosa
LA SCORTECATA

La 'scortecata' della Dante, dalla fiaba alla farsa

La Scortecata
La Scortecata

Il pubblico applaude a lungo e con convinzione questo spettacolo di Emma Dante, costruito con sapienza e misura. L'opera si basa una drammaturgia lineare e su una costruzione scenica semplice, che affida tutto il peso all'esecuzione dei due attori. La recensione dello spettacolo.

Ispirato ad una celebre novella della raccolta Lo cunto de li cunti di Giovambattista Basile, La scortecata, il nuovo lavoro di Emma Dante, va in scena Spoleto con perfetta coincidenza rispetto alla celebrazione dei sessant'anni del Festival; perché la messa in scena di quest'opera rievoca felicemente un'altra opera tratta da Basile che al Festival dei Due Mondi ebbe il battesimo alcuni anni fa prima di avviarsi ad un formidabile successo internazionale; quella Gatta Cenerentola, capolavoro di Roberto De Simone, che nel 1976 fece a Spoleto il suo leggendario esordio, e a cui lo spettacolo della Dante rivolge più d’un rispettoso omaggio.

Due interpreti eccellenti

L'opera si basa una drammaturgia lineare e su una costruzione scenica semplice, che affida tutto il peso all'esecuzione dei due attori, Salvatore D'Onofrio e Carmine Maringola, eccellenti interpreti di una prova fatta di una corporeità iperespressiva, di una sapiente gestione della voce e del movimento, di una ritmica esatta e di una maschera eloquente: senz'altro il punto di maggior pregio di questo lavoro, che trasporta la cruda fiaba secentesca in una farsa dai colori grotteschi, venata di allusioni licenziose; come l'esercizio di succhiamento del dito mignolo, pur menzionato nel testo originario, che qui  diventa un gesto smaccatamente sessuale. D'altro canto nella fiaba popolare i riferimenti sessuali sono quasi sempre mascherati da atti simbolici; accade parimenti nella fiaba di Cenerentola, dove il gesto d'infilatura della scarpa allude, in virtù di un’analogia simbolica, al rapporto sessuale con cui la candidata offre la propria verginità per concedersi al principe.

I rimandi alla Gatta di De Simone, dicevamo, sono almeno due: in primo luogo le ripetute citazioni testuali degli insulti in napoletano antico, mutuati dalla celebre «Scena delle ingiurie»; e poi la scena col grosso baule centrale, richiamo iconico al primo atto della Gatta Cenerentola, che compare proprio nel punto di svolta della vicenda, quando attraverso l'elemento della magia la storia ha per un istante un punto di contatto proprio con Cenerentola. La lingua adottata dalla Dante è una mescolanza di dialetto contemporaneo ed elementi d'italiano regionale (“sgamato”), con frequenti innesti di espressioni e stilemi del napoletano antico, mutuati direttamente dal lessico di Basile.

Il finale di Emma Dante

Libera dall'intento moraleggiante della fiaba originaria, la Dante rielabora il finale a modo suo, conferendo così alla vicenda un epilogo amaro di gusto più moderno, efficacemente sottolineato dal tableau vivant che conclude l'opera. Unico nodo irrisolto di questa rappresentazione sembrano essere le musiche adottate come colonne sonore di alcune scene topiche: pezzi celebri della tradizione classica napoletana alleggeriti del pathos originario attraverso rielaborazioni di pura godibilità, che da un lato suggeriscono didascalie troppo immediate del fatto scenico, dall'altro sottraggono alla narrazione la magia atemporale della fiaba.

Il pubblico applaude a lungo e con convinzione questo spettacolo, certo meno “avventuroso” e irruente rispetto ad altri lavori precedenti, ma costruito con sapienza e misura.  

Visto il 08-07-2017
al Caio Melisso di Spoleto (PG)