La sonnambula è una inarrivabile Jessica Pratt

La sonnambula è una inarrivabile Jessica Pratt

Tra le opere del grande repertorio La sonnambula di Vincenzo Bellini gode presso il pubblico di un favore discreto, particolare, non quello passionale dei titoli popolari di Verdi e Puccini, ma quello affettuoso e riservato che si ha per le vecchie zie eleganti e colte che vivono vicino a noi, ma ricevono poco.
Elementi come la leggerezza del tema, il lieto fine, la canonica alternanza “cantabile” – “cabaletta”, i concertati a più voci e la presenza continua del coro, come per la qualità geniale delle melodie, rendono il pubblico partecipe con una tensione sempre attiva.

Amina nella stanza del conte

In un villaggio della Svizzera Amina va a nozze con Elvino, a sua volta amato dalla locandiera Lisa. Arriva in incognito il conte Rodolfo, discendente dell’antico signore del villaggio che va ad alloggiare proprio da Lisa. Durante la notte Amina, in una crisi di sonnambulismo entra nella camera del Conte. I paesani si accorgono dell’accaduto e Amina viene da tutti accusata di aver tradito Elvino che la ripudia e decide di sposare la locandiera. In un rincorrersi di colpi di scena alla fine Amina ha una nuova crisi di sonnambulismo di cui tutti sono testimoni, viene scagionata ed Elvino, pentito, la prende tra le braccia e riprende la festa di preparazione delle nozze.

La messa in scena

Protagonista assoluta è Jessica Pratt, una convincente Amina piena di tenerezza e di sfumature; la grande soprano ha convinto tutti, anche se nella prima parte ha amministrato con parsimonia il volume per esprimere la sua tecnica impeccabile nei momenti topici più attesi, la sua “Ah! non credea mirarti” è stata commovente. Grande prestazione anche di Riccardo Zanellato, perfetto Conte Rodolfo. Juan Francisco Gatell ha una splendida voce, è un convincente Elvino nelle schermaglie con Amina e con il coro, ma sembra meno adatto a sostenere il registro acuto. Buona la prestazione sia vocale che attoriale di Valentina Varriale, Reut Ventorero e Timofei Baranov diplomati del progetto “Fabbrica” che evidentemente dà buoni frutti. Il coro, sempre presente, assolve il suo compito con la consueta bravura. Sul podio Speranza Scappucci, ormai affermata direttore internazionale, ha dato una lettura che privilegia le voci, l’orchestra ha sempre un suono splendido, ma talvolta non sembra adeguatamente valorizzato.

La regia di Giorgio Barberio Corsetti stavolta non è sorprendente e visionaria come in altre occasioni, la scenografia è costituita da mobili giganteschi a sottolineare il carattere di sogno infantile, ma l’effetto dopo una prima gradevole impressione si rivela gratuito e privo di reale consistenza narrativa. Inoltre sullo sfondo vengono proiettate immagini in time-laps che hanno un ritmo spesso lontano da quello della musica e provocano uno sgradevole spaesamento. Dell’ambientazione nelle montagne svizzere c’è solo qualche rara proiezione di una valle alpina, mentre quando appaiono elementi narrativi sotto forma di figure concrete, il tutto sembra avere una pleonastica destinazione didascalica. Le proiezioni, comunque suggestive, sono di Gianluigi Toccafondo.
Belli i costumi di Angela Buscemi che, supportati dalle luci di Marco Giusti, regalano una gradevole impressione di porcellane settecentesche.