Ultima regia firmata in vita da Franco Zeffirelli -infatti debuttò nel giugno 2019, pochi giorni dopo la sua scomparsa- l’allestimento firmato dal Maestro fiorentino di Traviata di Giuseppe Verdi è tornato sul palcoscenico dell’Arena di Verona anche in questa stagione.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Spettacolo-testamento di uno stile passato
Questa produzione, più che il testamento del celebre regista, si può considerare come il testamento di un modo di concepire il teatro lirico per molti aspetti superato. La scenografia fedele al libretto, i costumi rigorosamente d’epoca, i movimenti che poco si discostano da quanto riportato nelle didascalie, tutte abitudini appartenenti ad un gusto che ha dominato per molti decenni, ma che, con il sopravvento del teatro di regia, sembrano guardare al passato.
Ciò non toglie che lo spettacolo abbia momenti di indiscusso fascino, ad esempio il colpo d’occhio all’apertura di sipario sul secondo quadro del secondo atto provoca emozione anche a chi magari lo vede per la terza volta, tuttavia una volta svanita la meraviglia, il rischio di cadere nel già visto è sempre dietro l’angolo.
Dal punto di vista scenografico, che poi è la cifra stilistica degli spettacoli di Zeffirelli, alcune soluzioni sono interessanti: nel primo e nel terzo atto la casa di violetta è rappresentata su due piani, come la classica casa delle bambole; soluzione che consente una buona gestione degli spazi da parte delle masse sceniche.
Maggiori perplessità emergono nel primo quadro del secondo atto che, essendo molto intimista, rischia di perdersi nell’imponente costruzione che rappresenta il giardino della casa di Violetta, nonostante la regia scorra fluida nel narrare il susseguirsi degli eventi. In sostanza uno spettacolo di solida tradizione, che suscita l’ammirazione di chi ama volgere lo sguardo al passato ma che nulla aggiunge dal punto di vista interpretativo.
Voci interessanti, qualche perplessità dall’orchestra
Dal podio, Marco Armiliato, direttore musicale di questo festival, ha dato una lettura non sempre convincente, soprattutto nello stacco dei tempi, spesso particolarmente lenti, che raramente hanno permesso alla partitura di spiccare il volo, ancorandola ad una professionale routine.
Nel Complesso apprezzabile il cast che ha visto nel Giorgio Germont di Ludovic Tézier la sua punta di diamante. Il baritono francese si è distinto per la morbidezza del timbro e per la nobiltà del fraseggio. Al suo fianco Vittorio Grigolo è stato un Alfredo spavaldo, dalla voce ben proiettata e degli acuti saldi, ma un po' troppo veemente sulla scena, al punto da risultare in alcune occasioni sopra le righe. Più misurata la Violetta di Nina Mynasian, fedelissima al dettato verdiano, elegante fraseggiatrice, come è emerso dal secondo e dal terzo atto, ma dall'acuto non sempre luminoso.
Valido l'apporto dei comprimari e del coro diretto da Ulisse Trabacchin.
Franco il successo tributato da parte del pubblico che affollava gli spalti areniani.