Lirica
LA TRAVIATA

Violetta, scandalosa regina del burlesque

La Traviata
La Traviata © Giuseppe Di Salvo

Com'è noto, il debutto della Traviata – nel 1853 alla Fenice di Venezia – non fu molto soddisfacente per Verdi, deluso dai cantanti e dal risultato della messa in scena. In quella prima esecuzione, come in molte di quelle successive, la parabola di Violetta Valery fu rappresentata con abbigliamenti desueti, che dislocavano la narrazione in un'altra epoca. La consuetudine dell'opera aveva abituato il pubblico a storie lontane nel tempo, protette dal contatto e finanche dalle allusioni alla contemporaneità (si pensi alla censura imposta al Rigoletto); ora invece la vicenda della Signora dalle camelie, pubblicata da Dumas nel 1848 e poi tradotta da Piave in libretto per Verdi, risaliva ad un fatto di cronaca realmente accaduto qualche anno prima.

Dunque la società di nobili e borghesi arricchiti della Traviata – gaudente nel piacere dissoluto della festa ma intransigente dinanzi al sacrario della famiglia – era quella stessa che sedeva nei teatri all'epoca delle prime rappresentazioni. Fu forse allora la prudenza che consigliò agli impresari di evitare la sgradevole immedesimazione del pubblico in una vicenda in cui l'ipocrisia della società, nascosta dietro lo scudo della religione («Dio mi guidò», canta Germont), rappresenta la forza peggiore: per un certo tempo le messe in scena di quest'opera si svolsero con abiti settecenteschi, e fu attenuato l'atteggiamento provocatorio e licenzioso di Violetta. Sappiamo oggi che questa scelta irritò Verdi, che – a differenza del suo prudente librettista – premeva affinché fosse rispettata in pieno la verità sconveniente del testo.


Lo scandalo necessario

Di questa importante premessa storica è perfettamente consapevole la regia di Andrea Cigni, che al Luglio Musicale Trapanese trasporta l'estetica della festa parigina verso un possibile equivalente contemporaneo: il salone di Violetta, dove «l'amistà s'intreccia al diletto», è un club privato dei nostri giorni, un ritrovo di scambisti, e le due feste sono convegni d'impronta sessuale con gli avventori mascherati e i corpi, ben vestiti o nudi, pronti a dialogare. Immediatamente Violetta non è più l'eroina romantica cristallizzata dalla tradizione, ma un'escort d'alto bordo fuoriuscita dalle cronache pruriginose del nostro tempo. Questa semplice ma efficace trasposizione permette allo spettatore di godere più pienamente della storia e della creazione verdiana, preservando la misura dello “scandalo” (che un'esecuzione in costume d'epoca avrebbe neutralizzato) e liberando l'aspettativa dalle patine estetizzanti della tradizione; e al tempo stesso rende esemplare, slegata dalle convenzioni di un'epoca, la vicenda di Violetta, in un certo senso avvicinando l'esecuzione alle intenzioni dello stesso Verdi.

Ben funzionali a questa scelta sono le scene di Tommaso Lagattolla, forme cubiche in plexiglas e metallo che suggeriscono con efficacia tutti gli ambienti, illuminandosi per i festini e mostrando lo scheletro per l'intima agonia di Violetta; meno marcata la scelta dei costumi, salvo quelli che disegnano la trasformazione della protagonista, da regina del burlesque ad amante disperata; e giacché prima che dalla tisi Violetta è sconfitta dal giudizio della società, ecco che sul preludio del terzo atto per un istante la giovane moribonda appare sotto una luce celeste come un'icona della Maddalena.


Una Traviata intelligente

Concorde a questa scelta è la lettura musicale del direttore Andrea Certa, che attraversa la partitura con un'esecuzione precisa – esatto e leggibile il suo gesto, rigoroso il concertato –, restituendo alla musica verdiana una limpidezza liberata dagli eccessi della consuetudine. Intenso ma senza enfasi, Certa sa mediare con intelligenza fra il rigore interpretativo e le aspettative del pubblico: al soprano, solo per fare un esempio, viene concesso il celebre mi bemolle sovracuto che conclude la cabaletta Sempre libera e il primo atto; una nota che Verdi, come sappiamo, non scrisse, e che tuttavia una lunga tradizione ha consacrato.

Di ottimo livello la scelta dei tre protagonisti. Splendida Francesca Sassu nel ruolo di Violetta, voce morbida e rotonda, aggraziata e precisa nelle colorature del primo atto, lirica e commovente nei dialoghi con Germont, forte e drammatica in punto di morte; bella presenza d'attrice che le consente di trasformarsi abilmente da spregiudicata padrona di casa a donna trapassata dal male. Pregevole anche la prova di Matteo Lippi nel ruolo di Alfredo, una voce limpida e un bel fraseggio soave, quasi belcantista, non privo tuttavia della giusta misura drammatica; in scena, complice una fisicità non troppo agile, esegue un imbarazzato giovanotto a disagio nella mondanità. Magnifica interpretazione quella di Sergio Vitale nel ruolo di Germont, voce ricca e robusta, fraseggio melodioso –applausi meritati al Di Provenza il mar, il suol – e imponente presenza scenica che sapientemente si contrae nell'ora del pentimento. Molto buona l'equipe dei comprimari: incisiva Laura Cherici nel ruolo di Annina, godibile il ridicolo Gastone di Bruno Lazzaretti, autorevole Mauricio Garcia come Dottor Grenvil; e poi Valeria Tornatore (Flora), Fabio Cucciardi (Douphol), Giovanni La Commare (il marchese d'Obigny), Rosario Zuccaro, Stefano Lo Greco e Fabrizio Persico.

Meritano una menzione speciale il maestro del coro Fabio Modica, che guida un gruppo di giovani a un livello di notevole esecuzione musicale, e le coreografie di Isa Traversi, abilissima a disegnare movimenti precisi e funzionali su una scena sempre sovraccarica di personaggi.

Il teatro Giuseppe Di Stefano, bella arena all'aperto nella regale Villa Margherita, registra per questa prima il tutto esaurito.

Visto il 12-08-2018
al Giuseppe Di Stefano di Trapani (TP)