Rinasce a Trieste il mitico Festival dell'Operetta. Ci mancava molto, anche se l'Associazione Internazionale dell'Operetta F.V.G. - che coproduce ora la manifestazione triestina, insieme al Teatro Verdi – negli ultimi anni ha supplito con caparbio impegno alla sua mancanza, offrendo agli appassionati del genere qualche valida alternativa.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Trieste, 27 febbraio 1907
La sua inaugurazione, in una sala affollata in ogni ordine di posti, ci offre un allestimento semiscenico de La vedova allegra ideato dal bravo Andrea Binetti, motore artistico dell'intera manifestazione. Impegnato qui infatti in veste di drammaturgo e regista, oltre che di interprete, ad offrirci un'edizione insolita della celeberrima operetta.
L'idea infatti è quella di rievocarne la prima rappresentazione a Trieste, tenutasi in un gremitissimo Teatro Filodrammatico sotto la direzione del suo stesso autore. Il quale ben conosceva la città, essendoci già stato anni prima quale direttore della Banda della Marina Imperiale. Da questo spunto nascono due diversi piani di racconto, che procedono di pari passo sulla soglia del boccascena.
Uno, il racconto da parte dello stesso Lehár, impersonato dall'attore Gualtiero Giorgini, e della cantante/attrice Mila Theren, stella del Theater an der Wien incarnata dalla deliziosa Daniela Mazzuccato, di come andò la serata della prima triestina del 27 febbraio 1907, rievocata anche dalle immagini d'epoca scorrenti sullo sfondo.
Evento attesissimo dal pubblico locale, visto il travolgente successo viennese dell'operetta. E che, pur incontrando alla fine – c'era da dubitarne? - una calda accoglienza, venne disturbato all'inizio da una rappresentanza di irredentisti balcanici. Perché, è cosa nota, nell'insolvente Pontevedro immaginato dalla coppia di librettisti Léon & Stein, era spontaneo intravedere un palese richiamo al piccolo stato del Montenegro.
La vedova allegra, ma in breve
Intercalato a questa rievocazione, l'altro piano presenta in un'agile sintesi - lo spettacolo dura in tutto ottanta minuti, però non manca troppo della veste originale – i maggiori numeri musicali dell'operetta, collegati da rapidi dialoghi, e dalle solite divertenti battute.
Conservando naturalmente tutti i protagonisti principali: Hanna Glawari (un'affascinante Selma Pasternak, voce sopranile di buona estensione e dal timbro di velluto), il conte Danilo (il travolgente ed istrionico Andrea Binetti), la fatua Valencienne (una musicalissima Federica Vinci, schietta e piccante al punto giusto), il languido Rossillon (Gillen Munguía, giovane tenore canario dalla voce limpida e morbida, ben impostata), il rimbambito Barone Zeta e il maneggione Njegus (rispettivamente, i bravissimi Max Renè Cosotti ed Alessio Colautti).
Sul podio dell'Orchestra del Verdi allineata sul palcoscenico - il Coro al completo è sistemato dietro sullo sfondo – presiede Romolo Gessi, esperto direttore triestino. Artista incline a prestare di buon grado la sua bacchetta pure al genere sinfonico 'leggero', alle colonne sonore, alle incursioni nel musical. Inutile dire dunque che la sua spedita direzione ha conferito scintillio e massimo vigore a tutta la serata.
Non mancavano neppure le danze
Le coreografie, eseguite da due coppie di abili ballerini, le dobbiamo a Noemi Gaggi. Maestro del Coro, Paolo Longo. Un pochino d'arredo salottiero ai lati, a suggerire l'ambientazione. Costumi, non firmati, di pretto taglio ottocentesco.
Bellissima serata, senz'altro. Alla fine, spettatori entusiasti ed applausi a ripetizione per tutti, con ripetuti bis del trascinante «Donne, donne, eterni dei» maliziosamente sollecitati da quella volpe del palcoscenico che è Binetti. Proprio non voleva lasciare andar via il suo pubblico...