E' l'Ariadne auf Naxos di Richard Strauss ad aprire il Vicenza Opera Festival 2024, nella produzione della Iván Fischer Opera Company e della Budapest Festival Orchestra. Lo stesso spettacolo che ha inaugurato nel giugno scorso il 67° Festival dei Due Mondi di Spoleto riscuotendo un franco successo, e presentato poi a settembre al Müpa di Budapest.
Sala grandiosa, quest'ultima, mentre qui siamo nell'antico Teatro Olimpico di Vicenza. Sala molto raccolta, da 400 spettatori al massimo: in tal modo lo spettacolo scorre davanti a noi a distanza ravvicinata, ogni particolare in primo piano.
Una serie indovinata di trovate sceniche
Perché, in effetti, di particolari ce ne sono tantissimi; Iván Fischer, oltre a dirigere ha creato insieme a Chiara D'Anna una messa in scena multicolore, ricchissima di dettagli, di gags, di divertenti trovate che coinvolgono persino gli strumentisti. Ed a questo punto urge spiegare l'operazione teatrale messa in piedi da Fischer. Come si sa, la comédie-ballet di Molière Le bourgeois gentilhomme in origine contemplava le musiche di Lully, terminando con un'azione coreografica.
Volendo riprenderla nell'adattamento di Hugo von Hofmannsthal, ed in accordo con lui, Strauss invece vi interpolò composizioni sue, sostituendo il balletto finale con un atto unico operistico imperniato sul mito di Bacco/Dionisio ed Arianna. Un'insolita commistione di prosa e opera che al suo apparire, nel 1912, non piacque a nessuno; cosicché Strauss sostituì quattro anni dopo alla commedia un antefatto cantato, in cui un capriccioso riccone ordina ad una compagnia lirica e ad una di commedianti d'esibirsi insieme, per risparmiar tempo. Ed è questa l'Ariadne auf Naxos che conosciamo.
Un accoppiamento inedito, ma fruttuoso
Fischer invece ripensa il tutto, iniziando la rappresentazione con la suite da concerto che Strauss ricavò dalle musiche di scena de Le bourgeois gentilhomme, e proseguendo con la seconda parte dell’Ariadne versione 1916. Arbitrio da sconcertare i filologi, ma con una sua logica interna, unire lo spirito delle due differenti versioni; e sostenuto comunque in entrambi i casi da vivissima teatralità.
La piccola compagine che esegue questo radioso prologo strumentale infarcito di citazioni seicentesche, entra infatti un po' alla volta, accompagnata da due agili ed espressivi mimi/acrobati che resteranno sempre in scena, mentre i cinque comici dell’opera, anche loro muti, si prodigano man mano in una serie di comiche pantomime da commedia dell’arte, coinvolgendo tutti - direttore compreso - nei loro intrallazzi scherzosi, senza che la qualità eccezionale dell'esecuzione venisse minimamente sminuita.
Scene al minimo, però costumi rutilanti
Il meglio però deva ancora venire. Rapidamente vediamo installate le minimali scene di Andrea Tocchio – qualche roccia dell'isola di Nasso e molte onde marine di sapore barocco - poiché la fissità del palcoscenico palladiano non permette di più. A contentare l'occhio, ci pensano i coloratissimi, chiassosi costumi con cui si è sbizzarrita Anna Biagiotti per Zerbinetta, Arlecchino, Scaramuccio, Truffaldino e Brighella, mentre semplici e classici appaiono quelli dei personaggi mitologici.
Ai primi la regia impone una recitazione vivacissima, incontenibile, intrisa di sapido humour, tale e quale che nella guizzante commedia dell'Arte. Ai secondi un atteggiamento aulico e compassato, pressoché statuario, come nell'opera seria barocca. A ben segnare come, sia nella musica di Strauss che nei versi di Hofmansthal, le due sfere d'azione restino distaccate, senza quasi mai sfiorarsi. Tanto che la vispa Zerbinetta ed i suoi amici restano sconcertati – e lo commentano ad alta voce - dalla paludate, austere geremiadi di Arianna piantata in asso – cioè 'a Nasso' – dal volubile Teseo.
Orchestra, direttore, cantanti: tutti al top
Parlando della prestazione dell'orchestra ungherese, beneficiata anche dall'acustica ideale del teatro vicentino, siamo senz'altro a livelli stellari. Quanto alla direzione di Iván Fischer, suscita tutta la nostra ammirazione per nitidezza, precisione e spiccato senso narrativo; perché sa distillare per noi sonorità nitidissime, finemente cesellate; ed infine perché la vediamo procedere in pieno e fruttuoso accordo con gli interpreti, sostenuti e stimolati musicalmente in modo ammirevole. Anche perché regia e concertazione procedono in perfetta simbiosi.
Cinque figure della Commedia dell'Arte
Le quattro maschere sono nelle mani di Gurgen Baveyan, Stuart Patterson, Daniel Noyola e Juan de Dios Mateos. Un baritono, un tenore, un basso e un altro tenore: quattro cantanti affidabili e precisi, oltre che attori efficacissimi e disinvolti funamboli. Tre compiti affatto facili, in verità. Deliziosa ancora la Zerbinetta – ruolo che Strauss volle intriso di ardui acuti e iperboliche colorature - resa dalla giovanissima soprano bavarese Anna-Lena Elbert: non solo supera indenne (o quasi) ogni agilità, ma dona alla brillante figura squisita civetteria ed esuberante verve.
Dall'Arte al Mito greco
Quanto ai cinque personaggi mitologici, colpisce subito la bella amalgama, la precisione, la morbidezza del terzetto Naiade/Driade/Eco composto da Samantha Gaul, Olivia Vermeulen e Mirella Hagen: tre giovani, limpide voci messe da Fischer a fondersi fra loro.
Arianna tocca al soprano americano Emily Magee, che alle prese d'un personaggio intenso dalla vaga intonazione wagneriana (affrontato anche al Festival di Salisburgo), offre una prestazione emotivamente intensa, musicalmente ineccepibile sia per l'intrinseca bellezza della voce, quanto per l'impeccabile tecnica.
Entra per ultimo il dio Bacco, il capo cinto di grappoli d'uva (ed al suo passaggio la prima viola ne spilucca qualche acino). E' il tenore inglese Andrew Staples, che non si fa certo cogliere impreparato dalla spigolosa parte procedendo con voce squillante, saldezza di emissione ed una colonna di fiato ampia e generosa.