Francesco Campanile riscrive la Cenerentola e la declina al plurale “Fino a toccare la linea sotto il cielo …”
Lungo questo limes immaginario, che separa il possibile dall’improbabile, vivono, sopravvivono, sognano e agiscono le protagoniste di Le Genoveffe - Una favola Amara. Lo spettacolo, andato in scena in prima assoluta nell’ambito del Napoli Teatro Festival, è il risultato di un progetto del regista Francesco Campanile che, dopo una lunga esperienza nell’ambito del Teatro Ragazzi, scegliedi riscrivere la Cenerentola, una favola per adulti, affiancato da Tiziana Tesauro per la scrittura scenica e Christian La Salaper i movimenti coreografici.
Una favola Amara dal retrogusto noir
Il titolo, che è quasi un ossimoro, lascia intravedere l’anima noir di quest’opera, che richiama solo lontanamente la struttura della favola, lasciando invece ampio spazio a una struttura drammaturgica e a una scrittura scenica, taglienti, profonde e dolorose che celano, dietro le tuniche e le vesti caste e anonime, un sorriso che è al contempo ghigno di dolore e grido di disperazione.
Ad accogliere lo spettatore, nella scena d’apertura, è un “corpo collettivo” danzante e parlante, che sostituisce, incarnandolo, il “c’era una volta” delle favole. Il corpo e il tempo sono attraversati da ritmi cadenzati che scandiscono lo scorrere delle ore e dei giorni.La ritualità dei gesti risulta quale estremo tentativo di con-tenere l’animale,ormai morente, che abita l’animo delle quattro sorelle e che possiamo intravedere e sentire dietro le magliette con cui le Genoveffe ricoprono i propri volti, mentre risuona l’eco di un silenzioso monito: “non vogliamo vedere ciò che sta per accadere”.
Le Genoveffe: retroscena di un plurale
Protagoniste di questo interessante progetto sono: Misericordia (Salvatore Veneruso), Addolorata (Ciro Pagano), Fortunata (Vincenzo Castellone), Catena (Nicola Tartarone), ovvero le Genoveffe!
La scelta di far interpretare ad attori uomini la femminilità se da una parte richiama la tradizione del teatro settecentesco, dall’altra rappresenta il tentativo, riuscito, di destrutturare la favola originaria rendendo evanescente il confine maschile/femminile e oltrepassando il concetto di “ruolo”. Campanile sceglie il plurale per sottolineare il doppio laccio che lega le quattro sorelle che, unite da un analogo destino di solitudine e disperazione, reso sempre più gravoso dall’avanzare dell’età, si ritrovano a condurre una vita di clausura e isolamento, in una forma di double blindche le rende al contempo indispensabili e insopportabili l’una per l’altra. Fulcro invisibile, innominabile, indicibile, la madre, la cui presenza è così ingombrante da non richiedere una presenza reale; unico elemento che la rappresenta nello spazio scenico è una sedia a rotelle, il cui effetto estetico, se da una parte può risultare discutibile, dall’altra simbolicamente rimanda alla dinamica dipendenza-sudditanza. Diventiamo così spettatori di un lessico famigliare incentrato su non detti, frammenti di ricordi, oggetti dimenticati, tabù e violenze, in cui l’elemento che emerge con forza è una femminilità castrata, non esprimibile, non godibile.
Una storia di Corpi
Ciò che le Genoveffe non dicono, viene agito con forza e audacia attraverso il corpo, un corpo che racconta e mostra vissuti emotivi, traumi e sogni. Tra tutti ri-conosciamo il corpo della muta Addolorata, un corpo che incarna il non detto, ma che si esprime con sguardi e gesti portatori di un profondo dolore; o il corpo di Misericordia, un corpo prostrato, obbediente, che manifesta tutta la sua essenza nella scena in cui si piega ricurvo sotto il peso della sedia a rotelle ma che lascia intravedere uno spiraglio di tenerezza, quando ritrova e ri-conosce il triciclo rosso, simbolo di un’infanzia lontana e di una parte di sé ormai dimenticata. Meno interessanti, dal punto di vista scenico e drammaturgico, alcune caratterizzazioni posturali, la cui struttura rimanda ai personaggi tipici della commedia dell’arte e che qui risultano un po' come una “nota stonata”,
Campanile riscrive la Cenerentola e la declina al plurale, compiendo un’operazione registica interessante che potrebbe tuttavia essere ulteriormente approfondita e “limata”. Se da una parte infattila scrittura scenica diviene azione scenica, poetica, coinvolgente, affrancata dalla funzione di essere semplice illustrazione o traduzione di un testo, dall’altra l’impalcatura drammaturgica potrebbe essere ulteriormente approfondita, lasciando spazio ed espressione ai numerosi spunti evocativi che talvolta sembrano non trovare la completa realizzazione.