Vincere è esistere. Comprare è esistere. Per abbattere la barriera del bisogno e costruire un mondo dove si compra per istinto. Per diventare immortali. Le riflessioni ad alta voce tra Glusksman e Peterson, gli ultimi che tennero le redini della Lehman Brothers - il colosso mondiale dai piedi d’argilla - fino al crollo del 2008, esprimono quel delirio di onnipotenza difficile da debellare di una certa finanza, dalle origini antiche.
Nella storia dei fratelli Lehman - famiglia di banchieri che in 160 anni ha avuto le mani in pasta ovunque, passando dal cotone a caffè, ferrovie, petrolio (e non solo) fino ad arrivare agli strumenti finanziari più sofisticati - affiora con chiarezza quella caratteristica, spesso invidiata, di essere abili mercanti, capaci di maneggiare con disinvoltura il denaro e farlo fruttare. Non un male, di per se’: in tempi di vacche grasse, soprattutto, esprime una straordinaria capacità imprenditoriale, da imitare.
Tuttavia, se pur nelle intenzioni di Stefano Massini - autore di un testo davvero eccezionale - non vi fosse quella di dar luogo ad una Norimberga del capitalismo, è quasi impossibile per lo spettatore non giudicare. Assistendo alle due parti in cui si articola la storia di Henry, Emanuel e Mayer “Bulbe” Lehman, balza agli occhi la brama di denaro e, poi, di potere, tramandata in modo sempre più prepotente di generazione in generazione, perdendo di vista valori e ambizioni inziali.
Senza la pretesa di sostituire un saggio di economia, nel raccontare gli eventi salienti di una saga familiare che copre quasi due secoli, vengono spiegati anche alcuni meccanismi economici fondamentali in modo chiaro e non certo elitario, senza quindi escludere nessuno dalla comprensione. Ma non è tutto, molti altri temi vengono toccati: lo schiavismo, il rapporto con la religione, svilito al punto di scomparire, la necessità di accumulare, espressione dell’avidità che prende il sopravvento sul ‘sogno americano’ che guidava le azioni iniziali, l’alienazione dalla realtà che si manifesta non soltanto con la vendita di derivati & co. ma anche, in termini puramente teatrali, mediante la contaminazione con la dimensione onirica, che ha spesso il sapore (amaro) del presagio.
Una ballata dai toni epici, si è detto di questa Lehman Trilogy. La lunga rappresentazione assume però talvolta le sembianze di una “liturgia della parola”, in cui l’assenza di accompagnamento musicale è colmata dalle voci degli attori, dalla recita cantilenante e fatta di ripetizioni, litanie che danno una musicalità unica alla pièce. La scelta dei costumi è volutamente neutra, gli interpreti vestono tutti quasi allo stesso modo, ma alcuni dettagli - i colletti degli uomini e le maniche dei vestiti femminili - caratterizzano comunque i costumi dei vari decenni.
Popolizio, Gifuni, De Francovich giganteggiano incontrastati nella compagnia, strappando meritatissimi applausi ma una menzione va anche a Pierobon, Lehman di seconda generazione e Zibetti, la ‘pecora nera’, l’unico politico della famiglia che crede nella necessità di introdurre regole e limitazioni all’esuberanza finanziaria per tentare, invano, di porre un freno alla deriva che, di lì a qualche anno, sarebbe avvenuta.