Prosa
L'ESTINZIONE DELLA RAZZA UMANA

Interrogarsi sul presente per scongiurare l'estinzione della razza umana

L’estinzione della razza umana
L’estinzione della razza umana

La voce fuori campo di Elio De Capitani descrive al pubblico il contesto del nuovo progetto drammaturgico di Emanuele Aldrovandi, L’estinzione della razza umana, nel quale l’autore - al suo debutto anche come regista - racconta di un virus (molto simile al Covid-19) che attacca le vie respiratorie, trasformando gli esseri umani in tacchini: per evitare il collasso del sistema sanitario, a causa della velocità dei contagi, le persone sono obbligate per decreto a restare chiuse in casa, tranne che per esigenze di lavoro o comprovate e urgenti necessità. 

Una situazione che, inevitabilmente, riporta alla mente le condizioni di vita durante il primo lockdown, con tanto di canti sui balconi e medici che tornano a casa sfiniti da massacranti turni di lavoro.

Unità di tempo e di luogo

A livello registico, Emanuele Aldrovandi mantiene comunque il focus sulla parola: quei “litigi da social network” – che tutti ci siamo trovati ad affrontare, subire o alimentare - diventano l’elemento essenziale di quell’unità di tempo e di luogo all’interno della quale agiscono dall’inizio alla fine due coppie di attori (Giusto Cucchiarini e Silvia Valsesia, Eleonora Giovanardi e Luca Mammoli), che interpretano personaggi assaliti da frustrazioni e paure, radunatisi nell’androne di un condominio.

L’egoistico soddisfacimento dei propri bisogni impedisce l’ascolto dell’altro e rende ciascuno di loro prigioniero delle proprie convinzioni, talvolta assurde, sebbene fortemente radicate in una realtà che – tacchini a parte – non è poi cosi distopica.


C’è anche un quinto personaggio nello spettacolo L’estinzione della razza umana - interpretato da Riccardo Vicardi – una sorta di “disturbatore”, proveniente dall’esterno (prima nei panni di un corriere che consegna pacchi, nascondendo di aver contratto il virus, per timore di perdere il lavoro; poi nei panni di un medico che quotidianamente deve affrontare le conseguenze del virus, tra mutazioni e decessi), che mette ancora più in crisi le fragili certezze delle due coppie.

Lo scenografo Francesco Fassone sostituisce le mura del condominio con reti metalliche per volatili e anche le tinte tra il turchese e il grigio dei costumi di Costanza Maramotti suggeriscono una condizione di prigionia; non a caso, ogni ingresso del corriere dall’esterno è segnalato da un suono metallico e da una luce rossa che invade la scena.

Tra realtà e paradosso (mancato)

La scrittura di Aldrovandi spinge il pubblico a confrontarsi di volta in volta con le diverse opinioni e i punti di vista – spesso molto distanti – dei personaggi. Tuttavia, questo equilibrio viene in qualche modo “spezzato” nel finale, quando a una parola sgradita pronunciata da uno dei due vicini segue la reazione violenta (un pugno) da parte dell’altro.

A quel punto, lo spettatore si sente spronato, se non a prendere una posizione, almeno a mettere in crisi il proprio punto di vista, riconoscendosi nella visione del mondo di uno (o più) personaggi.


In un mondo che procede seguendo ritmi frenetici e disumani, l’ultima drammaturgia di Emanuele Aldrovandi risulta utile a esorcizzare e metabolizzare il presente: un tempo in cui la realtà – in forme più o meno grottesche – ha comunque la meglio sul paradosso.

Dunque, con L’estinzione della razza umana, rappresentare sul palcoscenico un’emergenza sanitaria non deve preoccupare più di tanto, perché, come la pandemia ha relegato in un angolo questioni etiche importanti (dai cambiamenti climatici al sovrappopolamento del pianeta), l’attuale situazione di conflitto tra Russia e Ucraina (con le sue conseguenze energetiche e alimentari su scala globale) sta rimettendo in discussione vecchie e nuove problematiche.

Visto il 18-05-2022
al Gobetti di Torino (TO)