Nella navicella di Loretta Strong ci sono frigoriferi parlanti che contengono uomini, acque malsane dei water che diventano specchi, topi d’oro, pipistrelli dagli occhi di rubini, cervelli umani appetitosi e pappagalli che parlano al telefono. Ma non finisce qui.
Copi, nome d'arte per Raul Damonte Botana, o lo si ama o lo si odia. Quando parla attraverso il suo teatro, resta sempre il dubbio se faccia sul serio o stia scherzando. Drammaturgo, fumettista, attore argentino - scomparso dopo aver immaginato la sua morte all’interno di una sua pièce dal titolo “Una visita inopportuna” (quella della morte appunto) - utilizza un linguaggio pungente e diretto dentro un mondo che può far ridere di situazioni serie quanto assurde, e piangere per situazioni apparentemente divertenti.
Loretta Strong testo interpretato per la prima volta da Copi stesso nel 1974, è un mix tra soliloquio ovvero “un colloquio virtuale con un personaggio interiore o interiorizzato” - per dirla con Concetta D’Angeli - e monologo multivocale, realizzato attraverso l’uso dell’artificio tecnico del telefono per cui il monologo procede attraverso l’interferenza di un’altra voce:
Il testo, messo in scena dalla compagnia torinese Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa con la regia e l’adattamento drammaturgico di Marco Isidori, ci sballotta ben bene il cervello, catapultandoci dentro la mente contorta di Loretta Strong.
Chi è Loretta Strong? Forse è un alieno sotto sostanze stupefacenti, forse è frutto della nostra immaginazione, forse è una pepita d’oro che si è umanizzata. Nel suo mondo oggetti e animali prendono vita e parlano logicamente o illogicamente? Loretta partorisce lingotti d’oro, intrattiene rapporti di antropofagia con i suoi amici immaginari o addirittura può perdere la testa.
Sul palco un caos di astronauti vestiti di uniformi gialle parlottano tra di loro (non si capisce nulla!), mentre il pubblico sta ancora prendendo posto. Ed è già allucinazione, confusione.
Una macchina scenica che può ruotare verticalmente e orizzontalmente, ci trascina in un delirio vocale, visivo, sonoro e linguistico vorticoso. Loretta è interpretata da un uomo e non da una donna, in perfetto stile copiano(!). Tacchi vertiginosi, gonna cortissima e top in pelle incastrato in quella macchina rotante da cui Loretta non può scendere.
Siamo sulla sua astronave e neppure noi possiamo scendere: è la tortura dei sensi, il ritmo ossessivo, l’allucinazione smisurata, eccentrica. La gabbia della mente. Il capogiro nauseabondo. La macchina rotante è condizione topica dell’esistenza stessa di Loretta, è protesi-allungamento di un corpo costretto e di una vocalità timbrica che non ha limiti.
Non c’è respiro, non c’è tregua, ma solo la moltiplicazione di una voce perfetta, quella di Paolo Oricco. L’attore è letteralmente legato alla macchina scenica, circondato da topi immaginari e folli.
Le risate degli spettatori echeggiano stridenti nella sala. Il refrain del “Pronto Linda?” diventa un tormentone o tormento che si ha voglia di ri-sentire, un’ossessione che crea dipendenza uditiva, attrazione sonora sensuale.
Loretta è l’oro o è loro (i personaggi della sua mente)?? Delle voci off amplificano il suo fraseggio morboso, lo rendono doppio, triplice e esplosivo. Il corpo di Oricco trattiene con forza (strong) tutte le energie nella tensione dei muscoli e dei nervi e in una mimica che fa del volto una maschera mutevole e interessante.
Forse non è un caso se, pochi anni dopo dalla stesura di Loretta Strong, Copi abbia scritto la pièce intitolata Il frigo dove, un personaggio di nome L. (oretta?), vive rinchiuso nel suo appartamento impersonando di volta in volta una serie di personaggi materializzati dalla sua fantasia. Proprio come nel caso di Loretta Strong queste presenze immaginarie vanno a disturbare la tranquillità del protagonista in questione, ma allo stesso tempo vanno a popolare una solitudine dominante.
Uno spettacolo dalla forte carica teatrale, dove i perni dell’essere attore sono portati alle estreme conseguenze. La fisicità, la voce e lo spazio entrano a far parte di un gioco masochistico piacevole in cui l’ostinato diventa l’ingrediente essenziale di una drammaturgia fedele al mondo copiano e di una messa in scena sopra le righe, complice di un universo transgender e fuori dagli schemi.