Lirica
LUCIA DI LAMMERMOOR

Alla Scala il dramma di Lucia, eroina romantica 

Lucia di Lammermoor
Lucia di Lammermoor © Brescia- Amisano

Ultimo in ordine di tempo dei progetti posticipati a causa del Covid, il nuovo allestimento di Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti che avrebbe dovuto inaugurare la stagione 2020/21 è andato in scena al Teatro alla Scala con Riccardo Chailly sul podio e la regia di Yannis Kokkos.

GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA

Scenografie tra il romantico ed il neogotico

Ispirata al romanzo La sposa di Lammermoor di Walter Scott questa partitura è il paradigma dell’opera romantica, a partire dall’inscindibile binomio amore-morte, corroborato da elementi quali atmosfere notturne, passioni, dramma, uxoricidi e suicidi. 

Ed è proprio l’aspetto romantico che Kokkos, autore anche di scene e costumi, ha scelto di sottolineare, progettando scenografie ispirate alla pittura romantica tedesca di Caspar David Friedrich reinterpretata in una chiave tra il neogotico ed il favolistico, che si manifesta con colori saturi e contrasti marcati tra luce e ombra. 


Se la prima scena del primo atto, in cui statue di cani e cervi spiccano su un fondale dai colori tanto accesi da risultare irreali, ha un che di disneyano, la landa desolata rigorosamente in bianco e nero avvolta da nebbia ed illuminata da fulmini con cui si apre il terzo atto ricorda il Frankenstein di James Whale. A queste scene di indubbia suggestione se ne alternano ad altre più anonime, quale ad esempio l'imponente parete che caratterizza il secondo atto, utilizzabile per qualunque titolo di repertorio.

In questo ambiente il Kokkos regista si è limitato a coordinare entrate ed uscite di coro e protagonisti, che il Kokkos costumista ha abbigliato con generici abiti contemporanei, lasciando all’iniziativa dei singoli il compito di costruirsi un personaggio. 

Il risultato è una regia a tratti visivamente accattivante che però si ferma ad una mera illustrazione della vicenda, rinunciando ad una qualsiasi chiave interpretativa: non basta infatti l'immagine ricorrente in ogni atto del cervo inseguito dai cani che dovrebbe rappresentare la condizione di Lucia per poter parlare di una lettura simbolica.

Una concertazione dinamica e ricca di contrasti per un grande cast

In piena sinergia con l’impostazione registica, anche la concertazione di Riccardo Chailly ha impresso alla partitura -eseguita integralmente nella versione critica di Gabriele Dotto e Roger Parker- un taglio spiccatamente romantico, che ne ha accentuato sonorità e contrasti, ponendo in primo piano legni ed ottoni. 

La narrazione si è sempre dipanata in modo fluido e dinamico con tempi spesso sostenuti e sonorità vigorose che idealmente sembravano creare un ponte con il primo Verdi. Una lettura a tinte corrusche, di forte impronta drammatica, che ha però saputo mettere in luce le infinite raffinatezze dell’orchestrazione, a partire dalla scelta doverosa di ripristinare la glasharmonika prevista dall’autore al posto del flauto nella scena della pazzia, che ha contribuito ad enfatizzarne l’atmosfera irreale e straniante. 

Notevole il cast che ha visto in Lisette Oropesa una Lucia sfaccettata, più matura e psicologicamente rifinita rispetto alle interpretazioni di stampo eccessivamente belcantista, incentrate più sulla bellezza del suono, che relegano la protagonista in una dimensione di ingenuità quasi infantilistica. 


Qui Lucia è una donna, caratterizzata dalle sue passioni e dalle sue fragilità che la condurranno ad una follia omicida. Tutti aspetti del carattere che la Oropesa ha reso da vera fuoriclasse, grazie ad uno strumento vocale rigoglioso e duttilissimo nel fraseggio ed impeccabile nelle agilità, al punto che un po’ si rimpiange la scelta -in rigoroso ossequio alla filologia- di privare la scena della pazzia della grande cadenza. 

Al suo fianco Juan Diego Flórez è un Edgardo raffinatissimo, dalla linea di canto solida e dal fraseggio magnifico, che però difetta del peso vocale necessario per sostenere il ruolo dell’eroe drammatico di cui Edgardo è l’esponente per eccellenza. 


Limiti che si riscontrano maggiormente nel finale del secondo atto e nel duetto con Enrico, mentre il duetto del primo atto con Lucia e “Tombe degli avi miei”, pagine in cui emerge la componente più lirica del personaggio, rivelano appieno la caratura del grande artista. 

Boris Pinkhasovich dispone di imponenti mezzi vocali ma dal punto di vista interpretativo il suo Enrico risulta eccessivamente ruvido e limitato all’aspetto irruento, a discapito di una maggiore nobiltà. Carlo Lepore ha dato voce ad un Raimondo autorevole come di rilievo sono state le prove di Leonardo Cortellazzi (Arturo), Valentina Pluzhnikova (Alisa) e Giorgio Misseri (Normanno). 
Eccellente come sempre il coro diretto da Alberto Malazzi.

Al termine: successo incondizionato per tutti gli interpreti con punte di entusiasmo per Lisette Oropesa da parte di un teatro esaurito.
 

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Visto il 26-04-2023
al Teatro Alla Scala di Milano (MI)