Luci ed ombre segnano questo Macbeth di Verdi che Jacopo Gassmann, apprezzato regista teatrale, porta al Comunale Noveau di Bologna.
Un debutto nell'agone della lirica con risultati invero non esaltanti. Infatti, a meno che uno nasca con un innato istinto musicale oltre che scenico – caso invero raro – o salvo che si sia fatto le ossa a fianco di qualcuno già esperto in questo particolare contesto, al momento di affrontare per la prima volta un allestimento operistico casca l'asino.
Vale a dire, l'esordiente regista lirico proveniente dalla prosa, dalla tivù, dal cinema, non sempre si mostra in grado di comprendere sino in fondo i presupposti stilistici e storici, il senso interiore, le esigenze dei cantanti, i meccanismi peculiari che muovono ed animano il genere dell'opera lirica, seria o buffa che sia. A prescindere dalle buone capacità dimostrate in precedenza.
Un fluire spezzettato
Vedi questo Macbeth bolognese, molto ragionato, e di un certo nitore formale, ma alla fine poco coinvolgente, asettico esempio di teatro di regia. Gassmann afferma di aver studiato a fondo il dramma shakespeariano e le sue fonti, per trarne ispirazione. Cosa giusta: ma poi vediamo che talune indicazioni del pur stringato libretto del Piave, benché fondamentali - dietro c'è sempre lo zampino di Verdi - sono ora fraintese, ora disattese.
Così questo suo primo incontro col teatro lirico appare confuso e contraddittorio, portando con sé poche emozioni. La scena offerta è prossima al vuoto, e vada; ma si muovono più le quinte candide, ed i quattro (quattro!) sipari di stoffa messi uno dietro l'altro che i vari cori. Tendenzialmente immobili, a far le belle statuine.
E poi il racconto, spezzettato; la recitazione dei protagonisti, convenzionale; i costumi banali, tutto un dejà-vu di idee; i video sullo sfondo, pressapoco i soliti. La congrega delle streghe dai lunghi, candidi capelli, sin troppo affollata; i profughi scozzesi, presentati come ebrei in partenza per i campi di sterminio; sfugge infine il senso recondito delle lunghe sciarpe indossate un po' da tutti, che vanno più volte ad ammassarsi come stracci.
Per la cronaca Gregorio Zurla è lo scenografo; Gianluca Sbicca il costumista; Gianni Staropoli il light designer; Marco Grassivaro il videomaker. I movimenti scenici li ha curati Marco Angelilli.
Oren, direttore impetuoso ma accorto
Per fortuna sul podio, a risollevare le sorti dello spettacolo, sale un direttore estroverso ed impetuoso quale Daniel Oren. Uno che non difetta certo d'acuto istinto teatrale, concertatore di vasta esperienza cui l'indugiare è ignoto, e dunque incline ad imporre un andamento drammatico vivido e travolgente – diciamo pure ribollente di emozioni - tanto all'orchestra del Comunale quanto ai cantanti.
Nondimeno, sollecito nel suggerire impalpabile respiro a talune pagine di ripiegamento emotivo, volgendo gli strumenti a sonorità delicate e soffuse. Quanto al Coro, si avverte sia la bravura dell'insieme, sia il lavoro certosino di Gea Garatti Ansini che ha portato ad un «Patria oppressa» di patetica intensità.
Due protagonisti adeguati
Nella nostra recita il ruolo del titolo spetta, in alternanza con Roman Burdenko, a George Gagnidze. Con Verdi, il baritono georgiano va pienamente d'accordo: anche Rigoletto, Nabucco, Miller, Simone sono tra i suoi cavalli di battaglia. Affronta la sfaccettata figura del monarca usurpatore con vocalità rotonda e ricca di armonici, per natura estesa e generosa - a tratti persino quasi straripante - ma ben tenuta a freno; solamente il fraseggio potrebbe essere, a nostro parere, più sottile e più insinuante, e certe vocali cantate meno aperte.
La ferina Lady Macbeth, è appannaggio della nostra Daniela Schillaci, dando il cambio a Ekaterina Semenchuk. Ottima attrice, cosa importante; quanto alla voce, al soprano siciliano riesce benissimo quel colore cupo, ruvido, demoniaco che Verdi auspicava per la sanguinaria regina. Oltre a questo, eccola rendere al meglio attraverso un bel gioco di sfumature, l'attraente fraseggiare, l'accorto variare di dinamiche e colori, il senso d'ogni frase in un'opera in cui la loro scansione è fondamentale.
Un comprimariato importante
In Macbeth il comprimariato è più importante e coinvolto che altrove. E qui siamo a posto. Riccardo Fassi è un solido, energico Banco, dalla voce ben proiettata e dal fiato prodigo di colori. Paolo Antognetti risulta uno svettante e virile Macduff, toccante ne «La paterna mano»; Marco Miglietta impersona a dovere Malcom, svettando con lui nella cabaletta «La patria tradita».
Appropriati gli importanti interventi della dama di Anna Cimmarusti, e del medico di Kwangsik Park; coprire le altre parti minori spetta a Gabriele Ribis.