Lirica
MANON LESCAUT

Salta la prima di Trieste: “Manon Lescaut” recupera nelle recite successive, ma non convince

Manon Lescaut
Manon Lescaut © F. Parenzan

Unico, e anticipato contributo all'Anno Pucciniano a venire, la Manon Lescaut ha aperto la stagione 2023-24 del Teatro Verdi di Trieste. Ma con un qualche giorno di ritardo: la prima in programma al 2 novembre è infatti saltata per lo sciopero delle maestranze in agitazione per il rinnovo del CCNL delle Fondazioni lirico-sinfoniche. Apertura di fatto quindi il sabato seguente, mentre il gala d'inaugurazione, con tutti i biglietti già venduti, è traslocato a mercoledì 8. 

La terza opera di Puccini mancava a Trieste da 17 anni, ed è stata proposta nella veste approntata da Guy Montavon per il Theater Erfurt in Turingia, del quale è generalintendant, e poi transitato per l'Opéra de Monte-Carlo. Spettacolo che può suscitatore sconcerto in quanto finisce per snaturare, e non di poco, il lavoro pucciniano. E non solo perché trasporta la vicenda ai giorni nostri, prassi oramai frequente.

Un regietheater che desta perplessità

Al posto della locanda di Amiens, un chiosco bar affollato da clienti stravaganti. Manon entra vestita già da suora, a godersi con un gruppo di gaie consorelle un bel gelato. Giunge anche Geronte - è una reincarnazione di Karl Lagerfeld - losco, gelido e arrogante. 

Nel secondo atto, Montavon lo propone come un collezionista/artista con un codazzo di nere ancelle e di bizzarri invitati, che dopo aver sniffato si diletta a trasformare Manon in una statua vivente, applicandole bende ingessate che colora con le mani. Nel frattempo il suo fedele domestico, dal biondo ciuffo all'insù, impartisce una lezione di ballo ad una ragazza forzatamente immobile. 

Terzo atto: al posto del molo di Le Havre, un glaciale tribunale popolato da inquietanti sagome freaks.

Un cantante, tre figure insieme

Qui Geronte, divorando una iperbolica aragosta, assume il ruolo del Sergente degli arcieri e del Comandante di marina. E' lui a scandire i nomi delle deportate, in tute nere e già marchiate sul collo, e poi accoglie sardonico Des Grieux a bordo della sua nave. 

Vien da pensare che invece abbia rinchiuso tutti nel suo palazzo, perché nell'atto conclusivo vediamo Manon agonizzare in un fetido sotterraneo, Des Grieux agitarsi frenetico in una saletta dove s'è appena desinato. Canta «Arida landa...non un fil d'acqua», eppure ha dietro dei cartoni intatti di minerale. 

Si vedono, si cercano, purtroppo li divide una tramezza trasparente impossibile da infrangere. Così, in una claustrofobica situazione horror lei muore sola, ed alla fine l'uomo fugge attraverso una porta che improvvisamente si spalanca.

Dov'è finito il povere Puccini?

A farla breve, ecco un truce esempio di regietheater teutonico, seppure con qualche guizzo convincente. Ma che ora forza, ora fraintende la narrazione, eliminando i giusti punti di riferimento.

Una drammaturgia che stravolge i caratteri dei personaggi, e si inventa inutili gags e manierate macchiette; ma, sopra tutto, che rema contro la logica musicale, svilendo un Puccini geniale compositore, ed al tempo stesso drammaturgo perfezionista, sempre attento ai fatti scenici. Per inciso, complici della sciagurata operazione sono Hank Irwin Kittel (una scenografia peraltro ben fatta) e Kristopher Kempf (costumi ovviamente moderni).

Lana Koos e Roberto Aronica

Manon di intensa drammaticità

Veniamo agli interpreti principali. Lana Kos impersona una Manon più drammatica che lirica, più declamatoria che dai tratti sfumati. Comunque, molto convincente, poiché pone al servizio di una notevole qualità di suono – bello, voluminoso, rotondo e limpido, la sua è una voce piena e di bel colore, sicura negli acuti – una tangibile propensione attoriale. Sa ricreare insomma un personaggio a tutto tondo, irrequieto e sensuale, che prende sempre più corpo man mano che la vicenda avanza, culminando in un «Sola...perduta...abbandonata» di commovente intensità.

Il Des Grieux di Roberto Aronica prende una sola direzione, quella di un canto stentoreo, spinto e spesso sfogato. Che certo può andare bene nel tragico epilogo, dove la tragedia prende il sopravvento; ma nelle pagine precedenti nella sua figura latita la necessaria aria di gioventù, e poi sarebbero d'uopo un più tenero fraseggiare, maggiori tinte e sfumature, un'elastica souplesse. Così cascano maluccio l'entrata di «Tra voi belle» e la chiosa di «Donna non vidi mai», mentre il suo personaggio prende decisamente quota nel finale.

Lana Koos e Roberto Aronica

Nei ruoli di contorno si lavora bene

Il baritono messicano Fernando Cisneros porta in scena l'opportunista Lescaut, con una prova che ci conquista per facilità e freschezza di canto, oltre che per calibrata vivacità scenica. Geronte e le sue trasformazioni sono rese da uno straordinario Matteo Peirone. Nicola Pamio è il suo fido muto lacchè, ma canta come Maestro di ballo e pure la canzonetta del Lampionaio. Paolo Nevi rende adeguatamente l'esuberante Edmondo; un raffinato Musico è quello di Magdalena Urbanowicz. Il Coro del Verdi, curato da Paolo Longo, non sempre evidenzia l'auspicabile morbidezza e precisione.

Gianna Fratta

Una bacchetta un po' roboante

Gianna Fratta si mostra concertatrice impetuosa ed entusiasta, ben attenta a rendere tutte le minuzie musicali ed i colori di una partitura che domina sicura. In tal modo, sotto la sua bacchetta, l'Intermezzo acquista un ampio respiro sinfonico. 

Tutto bene, dunque? Eh no. Difetta il fraseggio, manca la corretta paletta delle dinamiche, non s'avverte l'abbandono in certe pagine, a favore di inopportuni empiti titanici; e per il gusto di far 'ballare' l'Orchestra del Verdi –  peraltro in forma smagliante – la spinge troppo spesso a volumi ridondanti, che squilibrano l'insieme. Finendo qua e là per porre in secondo piano i cantanti – Edmondo, chi lo sente? - e spingere a forzare il coro.
 

Visto il 12-11-2023
al Verdi di Trieste (TS)