Un dato di fatto: Maria Egiziaca di Ottorino Respighi -“mistero in tre episodi”sulla vita della santa anacoreta, meretrice pentita che visse sino alla morte nel deserto – ora riportato in scena dalla Fondazione La Fenice al Teatro Malibran, non risuonava qui in Italia dal 1981. E sì che, dopo la sua apparizione in forma di concerto alla Carnegie Hall di New York nel marzo 1932, per un decennio conobbe una certa popolarità, anche all'estero, salvo poi sparire gradatamente dall'orizzonte.
Con qualche coraggiosa ripresa, però solo fuor dei nostri patrii confini: nel 1983 a Toronto, nel 2013 a Wuppertal, l'anno scorso a Londra seppur in ambito minore; sono notizie che troviamo nell'approfondito saggio di Jacopo Pellegrini che arricchisce il programma di sala. Questa coraggiosa riproposizione veneziana cade dunque a più di quarant'anni dall'ultima rappresentazione italiana. Temiamo però che non ne solleverà più di tanto le sorti, quelle d'un immeritato oblio.
Un lavoro della piena maturità di Respighi
Sesto lavoro teatrale del compositore bolognese, con un forte ruolo protagonistico ambito un tempo da molte interpreti di spicco, Maria Egiziaca riassume bene il carattere sfaccettato e polistilistico del compositore bolognese, fatto di «neogregoriano, neobarocco, neoromantico, neoclassico, e chissà quanti altri neo ancora. Spinto da un eclettismo bulimico – annota bene Pellegrini – Respighi rifà le musiche della storia; poi le contamina (…) conferendo loro se non un aspetto inedito, uno ambiguo e spiazzante».
In questo peculiare caso, molto contava era quell'imperituro neomedievalismo che spingeva commediografi e musicisti a cimentarsi con improbabili ambientazioni dugentesche. E quindi anche con altri 'misteri', vedi il San Francesco d'Assisi di Malipiero (1922), o Il deserto tentato di Casella (1937).
Sarebbe servito un librettista migliore
Quanto poi il libretto di Claudio Guastalla – tre pannelli rappresentanti la partenza di Maria per la Terra Santa, pagando il viaggio con il suo corpo; la conversione a Gerusalemme; il trapasso e la salita al Cielo – presenti un discutibile valore letterario, non può che far rimpiangere, come già notarono i primi critici, che il soggetto non fosse finito sullo scrittoio di D'Annunzio. O quanto meno di un Forzano.
Ciò non toglie che questo 'Trittico per concerto', a mezzo fra sinfonismo e teatro, i suoi pregi musicali li possegga, amalgamando e ponendo in buon equilibrio l'uno e l'altro. Tanto da suggerirne una forma quantomeno semiscenica, come auspicato sin dall'inizio dai due suoi autori: committenti a Nicola Benois di un grande trittico pittorico da collocare in scena, dischiuso e serrato da due figure angeliche.
Quarant'anni e più dall'ultima rappresentazione
Parere comune è che nella partitura le pagine di maggior interesse siano quelle puramente orchestrali: vale a dire la breve introduzione e i due Intermedii, che confermano l'indubitabile preminenza del Respighi orchestratore, e che trovano un ottimale veicolo negli orchestrali veneziani ed in Manlio Benzi.
Savio ed efficiente concertatore, quest'ultimo, pronto a curare ogni dettaglio del lavoro con diligenza e leggeri tocchi impressionistici, mirando ad una soddisfacente unità narrativa attraverso un ben teso arco drammatico. Scansando, allo stesso tempo, l'eccessiva magniloquenza e i troppo bruschi contrasti.
Una Maria che domina la scena
Domina la scena la Maria di Francesca Dotto, voce sopranile forte e duttile, di ammirevole spessore; votata alla massima incisività, non arretra dinanzi alla difficoltà di infondere verosimiglianza al personaggio, nel trapassare da peccatrice ad eremita; né a fronte dell'ardua tessitura, satura di colorature e melismi, che Respighi assegna alla sua creatura.
Lodevole in particolare nell'appassionata scena di fronte al Tempio, «Schiuma il tuo furore... O Salutare», epicentro emotivo (e musicale) del lavoro. Simone Alberghini raffigura con bella espressività i due ruoli baritonali del Pellegrino e dell'Abate Zosimo; il tenore Vincenzo Costanzo rende bene prima il marinaio, cui spetta aprire il sipario, poi il lebbroso; Michele Galbiati è un compagno; Luigi Morassi è l'altro compagno ed il povero; Ilaria Vanacore interpreta la cieca e la voce dell'Angelo; William Corrò una voce dal mare.
Spetta a Maria Novella Della Martira raffigurare coreograficamente i trapassi emotivi della protagonista. Impeccabile il Coro feniceo diretto da Alfonso Caiani che alla fine, dall'alto del loggione, spande in sala le angeliche parole del Laudato sii, Signore! di francescana ispirazione.
Un piccolo prodigio registico
Arduo è l'impegno di conferire credibilità scenica a Maria Egiziaca, superando gli scogli di un lavoro, come detto, dai tratti ibridi. Non un problema insormontabile per Pier Luigi Pizzi, che ci consegna una messinscena sobria, pulita, nitida, coinvolgente, portata avanti con massima premura recitativa d'ognuno.
Scenograficamente la sua regia trova solido appoggio nelle vivide video proiezioni che evocano suggestivi paesaggi, dal mare d'Alessandria alle porte del Tempio di Gerusalemme, sino all'arso deserto della Terra Santa. Unici oggetti reali, l'agile legno che imbarca Maria ed i marinai, e la grande croce di legno che sale dal pavimento. Tutto il resto, immagini della fantasia.