Ritorno trionfale alle Terme di Caracalla con Mass di Leonard Bernstein dopo la forzata lontananza della Stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma, causa Covid, ospitata per due anni nella maestosa cavea del Circo Massimo; ma Caracalla è un’altra cosa.
Jacqueline Kennedy Onassis, vedova del Presidente assassinato, aveva chiesto a Bernstein di ricoprire il ruolo di direttore artistico nel nuovo Center of Performing Arts di Washington D.C. dedicato a John Fitzgerald Kennedy, il maestro non accettò, ma si offrì di scrivere un’opera per l’inaugurazione.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Mass è una messa cattolica che non è veramente una messa, ma un guazzabuglio musicale e scenico che della messa ha la scansione rituale dell’ordinarium (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei) integrata da preghiere dei fedeli quali Confiteor, De Profundis, Pater noster e da Tropi, brani non liturgici molto usati nel Medioevo, poi banditi dalla Controriforma perché possibili veicoli di messaggi non approvati.
Bernstein definisce l’opera “A Theater Piece for Singers, Players and Dancers”, un happening per sottolineare l’insufficienza della proposta liturgica nella complessità della storia e dell’esistenza.
Il manifesto di un’epoca
Siamo negli anni dello psicodramma internazionale costituito dalla tragedia della guerra del Vietnam, dalle rivolte per i diritti civili e dalla grande vitalità dei movimenti pacifisti. Una dimensione culturale popolare condita da una estetica peculiare riconoscibilissima nel cinema, nella letteratura e nella musica pop. La musica di Bernstein esprime efficacemente la sensibilità dell’epoca utilizzando con sapienza le contaminazioni tra rock, pop, blues e suggestioni classiche che attingono perfino a Beethoven, alla polifonia antica ed alle asprezze della dodecafonia.
Sempre presente il riferimento stilistico a West Side Story, quasi un marchio di fabbrica. Il clima spumeggiante da musical è quello prevalente, ma non mancano incisi sinfonici di grande effetto. Nella parte finale, dove si declina l’ottimismo della speranza, il clima si fa un po’ troppo smielato e l’ispirazione musicale perde un po’ di smalto.
Protagonista è il Celebrante (Marcus Werba) che, eroicamente interagisce per due ore senza interruzione con la massa mobile e informe del popolo, impersonato dallo Street People Chorus coadiuvato nel canto e sulla scena dalle Voci Bianche della Scuola di Canto Corale.
Il palcoscenico è comunque affollato dal numerosissimo cast del Corpo di ballo impegnato nelle bellissime coreografie dei giovani Sasha Riva e Simone Rapele che integrano la regìa sobria ed efficace di Damiano Michieletto con la collaborazione di Paolo Fantin alle scene, Carla Teti ai costumi, colori delicati e morbidi valorizzati dalle luci di Alessandro Carletti, i video proiettati sono di Filippo Rossi.
Le trovate di regìa sono discrete e poco invasive, c’è una citazione dell’Ultima Cena, della Crocifissione ed una suggestiva Deposizione dalla croce. Un “muro della vergogna” raccoglie le proiezioni degli slogan e dei motti.
Il discorso musicale riprende gli stilemi dell’epoca e l’orchestra guidata con efficacia da Diego Matheuz raccorda con precisione i vari numeri avvalendosi anche di sonorità inconsuete come quelle dei bonghi e della chitarra elettrica mentre Il Coro del Teatro dell’Opera al gran completo, diretto come al solito da Roberto Gabbiani, è un protagonista splendido.
La performance dura due ore senza intervalli e nonostante la non comodissima accoglienza degli sgabelli senza schienale, tutti hanno aspettato il finale: “The Mass is ended; go in peace” e non hanno lesinato entusiastici e prolungati applausi.