Cavallo di battaglia di Maria Callas che in questo ruolo si identificò forse più che in qualunque altro, Medée è tornata al Teatro alla Scala dopo un’assenza di oltre 60 anni. L’ultima esecuzione del capolavoro operistico di Luigi Cherubini risaliva infatti al 3 giugno 1962, data che coincise con l’addio della Callas dalle scene milanesi.
In realtà più che un ritorno, il nuovo allestimento di Medée è da considerarsi una prima assoluta per questo teatro, infatti la partitura originale in francese nelle precedenti edizioni era stata sostituita dalla versione italiana di Carlo Zangarini, con il titolo Medea, che si rifaceva ad una traduzione in tedesco con i recitativi musicati da Franz Lachner.
I due figli al centro della regia
In questa nuova produzione i recitativi originali sono stati sostituiti dai dialoghi dei due figli di Medée e Jason, firmati da Mattia Palma che, sotto forma di voci registrate, contrappuntano lo svolgersi della vicenda. Sono infatti loro i veri protagonisti della regia di Damiano Michieletto, ambientata da Paolo Fantin all’interno di un freddo ed elegante interno borghese di epoca contemporanea.
Portati controvoglia dal padre a casa della sua nuova compagna Dircé, i due bambini manifestano subito disagio nei confronti della futura matrigna e di Créon, che vorrebbe essere chiamato nonno; trattano con sufficienza i giocattoli ricevuti ed assumono un atteggiamento tra l’annoiato e l’infastidito fino a quando all’irrompere di Medée le corrono incontro per accoglierla con uno struggente abbraccio.
Da lì in avanti il legame tra madre e figli diventa inscindibile, come mostra la frase “Maman je t’aime” che Medée scrive sulla parete di fondo e che si sgretolerà nel terzo atto, mentre crescono i contrasti con la famiglia adottiva -la scena in cui i bambini si ribellano a Créon che li vuole allontanare da Medée è da brividi- fino al tragico epilogo che si concluderà con il duplice omicidio in cui l’effetto grandguignolesco del pugnale viene sostituito da un non meno disturbante sciroppo avvelenato.
Medée non ha nulla a che vedere con l’immagine della folle assetata di sangue dei figli, ma è una donna che per amore ha rinnegato la sua terra e che, pur consapevole del fatto che Jason l’ha usata, tradita e abbandonata, vuole riconquistarlo e, soprattutto, riprendersi i suoi figli che le sono stati tolti.
Michieletto costruisce uno spettacolo di grande teatralità, che si basa su una regia minuziosa, ricca di passaggi simbolici, ottimamente recitato, ed in cui (finalmente!) si vede un coro muoversi ed agire in modo efficace e consapevole. Ad impreziosire il tutto le suggestive luci di Alessandro Carletti ed i pertinenti costumi di Carla Teti, che accentuano il contrasto tra l’asettica eleganza della corte di Créon e la trascuratezza di Medée, a sottolineare il suo essere un corpo estraneo all’interno di quella società.
In scena una doppia Medée
Se in quest’occasione si è ascoltata per la prima volta alla Scala Medée nella sua versione originale, si è anche ascoltata per la prima volta in un’interpretazione vicina allo spirito del tempo in cui fu composta e priva di tutte quelle incrostazioni di stampo romantico che hanno caratterizzato le esecuzioni novecentesche.
Michele Gamba è autore di una concertazione formidabile, che recupera appieno lo spirito neoclassico senza però mortificarne l’aspetto drammatico che anzi viene esaltato da dinamiche cangianti, fraseggio raffinatissimo ed un’energia che lascia trasparire lo spirito “Sturm und drang” dell’epoca.
Nel ruolo del titolo, la sera cui abbiamo assistito allo spettacolo tornava sul palcoscenico dopo due repliche annullate per indisposizione Marina Rebeka, che è stata protagonista di un primo atto trascinante ed intenso, sia dal punto di vista vocale che interpretativo. Purtroppo le non ancora perfette condizioni di salute l’hanno costretta durante l’intervallo a ritirarsi, pertanto nel secondo atto è subentrata Claire de Monteil che in virtù di uno strumento rigoglioso, anche se nei toni gravi meno incisivo di quello della Rebeka, è stata protagonista di una rimarchevole interpretazione.
Martina Russomanno è stata una Dircé dal timbro luminoso e disinvolta nelle colorature, ad onta di qualche asprezza nel registro acuto, mentre Ambroisine Bré ha dato voce ad una Neris di grande pathos nell’aria “Ah! Nos peines seront communes”. Meno a fuoco il versante maschile: Nahuel di Pierro ha delineato un Créon poco incisivo sia vocalmente che scenicamente mentre Stanislac de Barbeyrac è stato un Jason vocalmente corretto cui però difettava il carisma per tenere testa alla figura di Medée.
Bravissimi i due bambini Tobia Pintor e Giada Riontino nel ruolo dei figli di Medée ed eccellenti le prove dell’Orchestra e del Coro del Teatro alla Scala, quest’ultimo diretto da Alberto Malazzi.
Straordinario successo di pubblico dato che, nonostante non si trattasse di un titolo del grande repertorio, il teatro ha fatto registrare il sold out per tutte le repliche.