Anche in periodi di forti restrizioni per lo spettacolo dal vivo il Festival Verdi di Parma si conferma rassegna d’eccellenza per le sue proposte. Gemma luminosa all’interno di un cartellone di gran pregio è stata la Messa da Requiem che ha visto protagonisti l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Regio di Parma diretti dall’ispiratissima bacchetta di Daniele Gatti.
Ad un anno di distanza dalla precedente esecuzione al Festival Verdi diretta da Roberto Abbado, in cui era vivissimo il ricordo delle vittime della pandemia, questa serata era dedicata alla memoria del compositore Sylvano Bussotti, grande esponente delle avanguardie novecentesche recentemente scomparso.
Un viaggio alla ricerca del mistero
L’interpretazione di Gatti, destinata a rimanere impressa nella memoria dei presenti per molto tempo è un viaggio “alla ricerca del trascendente” che vuole condurre il pubblico “al centro del mistero, fino alle soglie dell'incomprensibile”, come ha dichiarato nel programma di sala, e questa è la sensazione che effettivamente si è provata alla fine dell’esecuzione.
L’approccio con cui il direttore milanese sceglie di affrontare questo viaggio è quello di una lettura estremamente analitica, che raggiunge risultati di grande drammaticità attraverso un minuzioso lavoro di cesello che però non scivola mai nel manierismo ma, al contrario, si percepisce essere frutto di una visione personalissima, tanto lucida quanto meditata e ricca di pathos.
Sono tanti i momenti che spiccano per la raffinatezza degli impasti sonori, dal suono quasi impalpabile con cui inizia il Requiem aeternam, alla tensione drammatica del Dies irae, all’attacco dei clarinetti sull’incipit del Rex tremendae che dopo l’accordo deflagrante sfumano in un pianissimo dai tratti inquietanti, ai diversi piani sonori che esaltano il raffinato gioco contrappuntistico del Recordare.
Grandissima emozione ha suscitato l’esecuzione del Lacrymosa, brano di chiara derivazione teatrale, trattandosi infatti del canto funebre di Filippo II espunto dalla prima versione di Don Carlos. Magnificamente preparata da quel breve passaggio di raccordo che segue la chiusa del Confutatis la melodia si dispiegava morbida, per terminare con un “dona eis requiem” commosso e partecipe, dal quale trasparivano pace e serenità, le stesse che poi si sono ritrovate in un Agnus Dei intonato come una preghiera.
Orchestra, coro e solisti in perfetta intesa con il podio
Straordinaria la prova dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai che ha saputo assecondare perfettamente le indicazioni che provenivano dal podio ed altrettanto si può dire del Coro del Teatro Regio diretto da Martino Faggiani.
Assolutamente rimarchevole l’apporto dei solisti su cui spiccava il mezzosoprano Elīna Garanča, dotata di un timbro brunito unito ad un fraseggio duttilissimo è stata protagonista di un Liber scriptus dai tratti profetici di grande intensità. Antonio Poli ha piegato il suo squillante timbro tenorile ad un’interpretazione ricca di sfumature tra cui un “Inter oves locum presta” giocato sul filo di voce in perfetto equilibrio con l’oboe solista. Autorevole voce di basso, John Relyea ha cesellato un Confutatis ricco di espressività mentre il soprano Maria Agresta ha scolpito un Libera me di grande incisività.
Al termine, dopo un momento di sospensione dovuto alla grande partecipazione emotiva, il pubblico si è sciolto il 15 minuti di applausi ininterrotti.