Minchia signor tenente, dopo quasi dieci anni di messinscena, si conferma capace di raccogliere ancora applausi e alto gradimento. La commedia scritta da Antonio Grosso si rivela efficace e, con merito, riesce a divertire il pubblico trattando uno degli argomenti più delicati e tragici della storia recente del nostro Paese: le bombe del 1992-‘93 e la presunta trattativa Stato-mafia.
Da Sanremo a Capaci
La sera del 26 febbraio 1994, tra gli oltre tredici milioni di spettatori sintonizzati sulla finale del quarantaquattresimo Festival di Sanremo, c’era anche un ragazzino di dodici anni a guardare la tv. Antonio Grosso ascoltava quelle canzoni insieme a suo padre, un ex maresciallo dei carabinieri, ma in quel momento non immaginava neppure lontanamente che quella serata gli sarebbe rimasta nella memoria per sempre. “Se quest’anno vince Faletti, l’Italia cambia”, commentò suo padre emozionandosi all’esibizione di Signor Tenente. È proprio su questo aneddoto familiare che alcuni anni dopo Grosso scrisse Minchia signor tenente.
Mafia, Sicilia e carabinieri
Diretta da Nicola Pistoia, la commedia racconta in maniera esilarante le vicende di una caserma di uno sperduto paesino siciliano: carabinieri campani, romani, siciliani e pugliesi, con tutti i luoghi comuni dell’Arma e delle rispettive regioni, dipingono un fedele spaccato d’Italia.
È il 1992 e il generoso brigadiere D’Onofrio, il quadrato maresciallo Chichierchia, il fedele appuntato Milito e i carabinieri Moroni e Merilli, passano le giornate tra le fantasiose denunce di Parerella, le vicende amorose della tenace Sara, i permessi di caccia del farmacista e un latitane che è meglio non cercare. La routine della caserma è però sconvolta dall’improvviso arrivo del tenente Prisco con un delicato ordine: bisogna scortare un giudice. E il finale sarà drammatico.
Una comicità retrò, ma ancora efficace
Dopo oltre trecento repliche, la comicità anni novanta di Grosso, che ricrea alla perfezione l’atmosfera di quei tempi, funziona ancora molto bene: il pubblico ride di cuore divertito da gesta maldestre, fraintendimenti e caos imbastito a regola d’arte. Antonio Grosso, nella parte del napoletano brigadiere D’Onofrio, è capace di un’interpretazione irresistibile e la grande intesa con Antonello Pasquale, nei panni del maresciallo Chichierchia, è un buon valore aggiunto.
Grosso ha il merito di aver creato una trama semplice ma divertente, che lascia il giusto spazio alle gag, rappresentando un degno tributo all’Arma così come alla memoria delle stragi di Capaci e Via D’Amelio e anche alla canzone di Faletti. I costumi molto curati contrastano con la sobria scenografia, comunque efficace poiché aumenta il focus sugli sketch e il loro impatto sul pubblico.