Mine vaganti è una messinscena tratta dall’omonimo film, uscito nel 2010, con Riccardo Scamarcio nel ruolo del protagonista. A dirigere il cast - diverso rispetto al film, ma ancora ben assortito - è sempre Ferzan Ozpetek, che per la prima volta si misura con la regia teatrale.
La storia ruota attorno alle vicissitudini di un giovane studente universitario fuori sede (Erasmo Genzini) che da Roma, città in cui studia e vive una relazione con il suo compagno, decide di tornare nella sua piccola cittadina del sud Italia, per svelare alla sua famiglia le tante cose che lo riguardano di cui non sospettano nemmeno l’esistenza.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Innanzitutto Tommaso, così si chiama il ragazzo, non studia Economia e Commercio, come credono i suoi, bensì Lettere Moderne; tant’è che è intenzionato a fare lo scrittore nella vita e non, come vorrebbe suo padre, a lavorare nell’azienda di famiglia, un grosso pastificio rinomato.
Sopra ogni altra cosa, Tommaso vorrebbe trovare il coraggio e l’onestà di rivelare la propria omosessualità. L’occasione si presenta presto, durante una cena in cui sono presenti tutti i suoi familiari, compreso suo fratello maggiore (Carmine Recano). Il giovane si sta per alzare per prendere finalmente la parola quando il fratello lo batte sul tempo e si leva in piedi prima di lui. Ciò che ha da dire lascia senza parole, incluso Tommaso, che perderà la sua baldanza in quattro e quattr’otto.
Il fratello confessa di essere gay e di aver rinunciato ad un rapporto importante pur di non dare nessuna occasione alle malelingue di calunniare. Ma si è reso conto non può più continuare così, a nascondere i propri affetti solo per il timore della vergogna sotto la quale si seppellirebbe la sua famiglia e più degli altri sua madre (un'esuberante Iaia Forte) e suo padre (un istrionico Francesco Pannofino).
Dopo il primo momento di choc, il padre si fa d’un tratto burbero e caccia via, di casa e dall’azienda, il figlio maggiore. Adesso non gli resta che Tommaso, colui a cui toccherà il compito di perpetuare la discendenza e il lavoro nel pastificio. Cosa farà il giovane?
Coralità degli attori e coinvolgimento del pubblico
Per sua fortuna, il protagonista è attorniato da svariati personaggi che gli vogliono bene, a partire dalla nonna, interpretata da una Simona Marchini che non smette di contraddistinguersi per grazia ed eleganza.
La scenografia è semplice ma sapiente: un abile gioco coi tendaggi e con le luci che preparano e rendono più incisiva la performance degli attori che, a volte, rompono la quarta parete per entrare più a contatto con il pubblico in sala. Gli spettatori vengono così coinvolti più direttamente dallo sguardo e dalle battute degli artisti, che si muovono su e giù per la platea come fosse la piazza cittadina.
Un adattamento fedele: la sceneggiatura non si tocca
Al centro della scena non c’è solo il tema dell’omosessualità, paventata, sfoggiata o negata che sia. Altri personaggi, tutti resi da una notevole capacità attoriale, che in qualche modo toccano la vita di Tommaso, ci scoperchiano parte dei propri dolori. Sì, perché quella sul palco è un’umanità fragile e lacerata, dalla paura e dai rimpianti per le scelte che non si è avuto l’ardire di fare o, solo, da tutto ciò che è capitato e che non si è potuto evitare.
Le battute, spesso identiche a quelle del film, sanno essere lapidarie e penetranti. Anche le musiche, di sottofondo languide e sensuali, cullano gli spettatori che possono godere di una pièce che sa tenere il ritmo; che un po’ diverte e un po’ commuove.