Quantomeno profetico questo Miracoli Metropolitani di Gabriele De Luca, portato in scena dal politicamente scorrettissimo Carrozzeria Orfeo. Sono due ore e mezza di angoscia claustrofobica e risate a crepapelle: passi da uno stato d’animo all’altro in un batter di ciglia.
Lo spettacolo sembra descrivere quello che è successo durante la pandemia, ma è stato scritto prima. De Luca si è ispirato ad un fatto di cronaca reale. Nel settembre 2017 le fogne del quartiere londinese di Whitechapel sono esplose a causa di un mega-tappo da 130 tonnellate di grasso mischiato a vari oggetti non biodegradabili: dai preservativi agli assorbenti.
Le somiglianze con l'era-Covid sono inquietanti. De Luca immagina una città dove progressivamente non si può più uscire di casa perché i liquami puzzolenti sono dappertutto, dove i rapporti sociali si svolgono solo su internet.
Un'umanità segregata in casa
C'è un'umanità inquinata da sé stessa, segregata in casa, che ha come unico luogo d’incontro il web e come unica consolazione il cibo. La polizia, sotto la spinta dei sovranisti, dà la caccia a tutti gli immigrati (regolari e no) come se la colpa dell’emergenza-fogne fosse la loro. C’è una vecchia autorimessa, riadattata a cucina. E’ il microcosmo in cui convive un manipolo di personaggi perduti nelle loro nevrosi.
Ci sono una donna manager ossessionata dai like su Facebook; un carcerato aspirante attore obbligato a fare lavori socialmente utili; uno chef stellato declassato che vuole dimostrare a tutti di essere un grande cuoco anche se deve fare take-away; una ex brigatista (madre del cuoco), cui è rimasta la passione per gli attentati.
I protagonisti devono vedersela con ricette assurde per comporre alla meglio il menù europeo, quello asiatico o africano, spesso usando prodotti precotti dalla dubbia provenienza per soddisfare le frenetiche richieste di un mercato globale che vuole pagare sempre meno. L’esplosione delle fogne è il simbolo di un pianeta che si rivolta all’uomo.
La regia fa i salti mortali
La regia gestisce in modo perfetto un microcosmo dai ritmi incalzanti, televisivi, con personaggi che entrano ed escono da quattro punti diversi, portando ogni volta in scena la propria nevrosi. Ciascuno vive nel suo mondo, nella realtà fittizia che si è costruito per sopravvivere. L’inizio della commedia è quasi violento, con un turpiloquio generale a volte vicino alla bestemmia.
Il turpiloquio sostituisce la comunicazione e sottolinea l’incapacità dei personaggi di rapportarsi con la realtà, con il mondo fuori la carrozzeria-ristorante. Non a caso l’unica che non dice parolacce è la donna manager, e cioè l’unica sintonizzata con l’esterno.
Il turpiloquio è la chiave di lettura dell’opera. Sotto l’incalzare dei fatti che li toccano personalmente, i personaggi progressivamente escono dallo stereotipo che si sono costruiti, e diventano più umani, più veri. Alla fine, quando il processo si è compiuto e l'umanità si riscatta, nessuno dice più parolacce.