Non si finirebbe mai di parlare di Mistero Buffo, quest’opera che ha comunque segnato il teatro del Novecento e recuperato testi e tradizioni di un teatro medievale che si sarebbero forse persi definitivamente.
Mistero buffo, uno dei capolavori assoluti del teatro italiano e indubbiamente il più originale, intrigante e geniale lavoro di Dario Fo, grande attore e uomo di cultura come testimoniato dal Nobel per la letteratura assegnatogli nel 1997.
Dell’ampia motivazione dell’Accademia di Svezia voglio ricordare una frase “. A Dario Fo... che nella tradizione dei giullari medievali fustiga il potere e riabilita la dignità degli umiliati...” in quanto sintesi del suo modo di fare teatro.Al riconoscimento non sono stati estranei i testi del Mistero buffo, frutto di attente ricerche di Fo sulla molteplicità di testi da lui raccolti sul teatro popolare delle varie regioni italiane.
Due sono i pilastri espressivi del Mistero buffo: la ‘mimica’ come mezzo teatrale di espressione e traduzione del pensiero e il recupero del ‘grammelot’, linguaggio inventato dai comici dell’arte e dai giullari. Con questo termine, di provenienza francese, si aggiravano due ostacoli: la diversità dei linguaggi incontrati nel suo peregrinare dal ‘carro di Tespi’ degli attori e il divieto di recitare in lingua, essendo concesso agli attori al massimo di emettere suoni senza senso compiuto.
Divieto all’uso della lingua che suonava come autodifesa del Potere nei confronti degli spettacoli grotteschi, espressione di un teatro inventato dal popolo come strumento di provocazione e di comunicazione e diffusione di idee, spesso eterodosse.
Una tradizione molto vicina al teatro di Fo: vivo, fatto di parole e mimica, radicato nella società (quella reale dei poveri e dei semplici), strumento ideale per far riflettere divertendo, anzi facendo ridere. Come il linguaggio anche il titolo Mistero buffo si rifà al II / III secolo dopo Cristo: ‘mistero’ infatti indicava una rappresentazione sacra e l’aggettivo ‘buffo’ la versione profana e popolare.
La prima messa in scena di “Mistero buffo” è del 1969, ma a distanza di quarant’anni è di grande attualità perché lo sono i temi trattati: fame, potere e ingiustizia.
Nell’edizione andata in scena sono quattro le ‘giullarate’ fatte vivere da Mario Pirovano: ‘La fame dello Zanni’ (storico personaggio popolare della Bergamasca) in cui si manifestano le straordinarie capacità funamboliche dell’attore, ‘La Resurrezione di Lazzaro’ vista con l’ottica del popolo che vive l’evento come uno spettacolo, il dolcissimo ‘Il primo miracolo di Gesù Bambino’ tratto dai Vangeli apocrifi e ‘Bonifacio VIII’, forse il più ‘politico’ dei quattro testi, in cui si contrappone la magnificenza del Papa alla semplicità di Gesù, sottolineando la profonda differenza tra i due.
Non si finirebbe mai di parlare di quest’opera che ha comunque segnato il teatro del Novecento e recuperato testi e tradizioni di un teatro medievale che si sarebbero forse persi definitivamente.