Branciaroli, nel ruolo del protagonista, fa sfoggio di tutta la sua ampia vocalità. Uno spettacolo in cui la parola prevale sull’azione. L’impostazione scelta da Lazzareschi è più letteraria che teatrale.
Scelta apparentemente inusuale quella di inserire all’interno del 71o festival shakespeariano dell’Estate Teatrale Veronese un titolo come Moby Dick di Herman Melville nella riduzione di Franco Branciaroli con la regia di Luca Lazzareschi. Ma nel momento in cui si può intravvedere in questo capolavoro della letteratura americana una sorta di erede naturale della Tempesta di Shakespeare, l’azzardo sembra ridimensionarsi.
Achab alter-ego di Prospero
Vi è infatti un forte legame tra il personaggio di Achab ed alcune grandi figure tragiche di Shakespeare, in particolare con quella di Prospero. Scrive infatti Luca Lazzareschi nelle note di regia: “Il capitano Achab, titanico eroe tragico, plasmato dalla follia, dal dolore e dall’incontenibile ybris, assume in sé molte delle caratteristiche di alcuni dei più grandi personaggi shakespeariani: Macbeth Riccardo III, Amleto, Lear, Prospero.
Achab vive e respira Shakespeare in ogni sua parola, nella forma e spesso nella sostanza”. Ecco che quindi assume una valenza ancora più importante aver allestito questo testo una settimana dopo la Tempesta con la regia di Luca de Fusco che ha inaugurato questa edizione dell’estate teatrale veronese, quasi si trattasse di un passaggio di testimone negli oceani della letteratura.
Uno spettacolo in cui la parola prevale sull’azione
L’impostazione scelta da Lazzareschi è più letteraria che teatrale: all’interno di una scenografia scabra ed essenziale, progettata da Domenico Franchi, i cui unici elementi sono una torretta di avvistamento ed alcuni praticabili, gli attori raccontano, declamano il testo, ma raramente danno vita a vere e proprie azioni drammatiche. Il progetto ha più il sapore della rievocazione, tutto è stilizzato, quasi astratto; gesti e azioni vengono spesso mimati: si brinda senza bicchieri, si lavora senza attrezzi, ed anche il monco Achab si muove disinvoltamente sulle sue due gambe.
Branciaroli, nel ruolo del protagonista, fa sfoggio di tutta la sua ampia vocalità in un’interpretazione in cui dominano le escursioni timbriche ma che fatica a toccare le corde più profonde dell’eterno cacciatore della balena bianca e raramente riesce a coinvolgere a livello emotivo. Più lineare e partecipe la recitazione degli altri interpreti tra cui spiccano Gianluca Gobbi (Ishmael), lo stesso Lazzareschi (Starbuck) e il versatile Francesco Migliaccio in più ruoli.
Quella che è sembrata maggiormente mancare in questo allestimento stata una vera e propria impronta registica, che riuscisse a coniugare l’istrionismo di Branciaroli con la recitazione più naturalistica degli altri attori e che imprimesse dramma e azione a quelle che spesso rischiavano di sembrare solo parole.
La rappresentazione si è dipanata senza particolari sussulti, fatta eccezione per un temporale che, con singolare tempismo, a metà del secondo atto ha scaricato qualche lampo e qualche goccia d’acqua sulla platea del Teatro Romano, trasmettendo al pubblico una suggestiva sensazione di immedesimazione totale che, terminati gli “effetti speciali” si è affievolita nel finale.