Con un titolo raro - il Mosè in Egitto di Rossini - il Teatro Comunale di Modena apre la sua nuova stagione lirica. A distanza di due secoli circa dall'apparizione a Napoli nel 1818, e dalla sua prima ed unica comparsa nella città ducale nel 1833. Una vera chicca per gli appassionati, a meno che non frequentino il ROF di Pesaro dove apparve nel 1983/85 e nel 2011 questo significativo esempio di 'opera quaresimale', astuta formula di compromesso tra le restrizioni clericali della Quaresima e il desiderio di far lavorare i teatri - ed intrattenere il loro pubblico - in tal lungo periodo di penitenza.
Formula vicina ad un oratorio di argomento sacro, dal tono solenne e con vasto impiego del coro, ed eventuali nodi amorosi tenuti prudentemente in secondo piano. Offerta peraltro con tanto di costumi e scene, spesso spettacolose, e magari con effetti mirabolanti, come ne Il diluvio universale di Donizetti; o nel Nabucco di Verdi, l'ultimo alto esempio del paludato genere.
Opere sì, ma mascherate da oratori
Con buona pace di tutti erano comunque opere fatte e finite, furbamente mascherate sotto un carattere edificatorio; Rossini vi si era cimentato una prima volta con Ciro in Babilonia. Nondimeno del Mosé in Egitto ostinatamente ne vedeva il lato sacrale, scrivendo al padre “Io ho quasi terminato l’oratorio (…) è di un genere però elevatissimo”.
Difatti vi mise in campo un contenuto belcantismo e un parco uso di colorature, a favore di recitativi, declamati e concertati pregnanti e solenni; e vi inserì ovviamente ampi e continui momenti corali, dallo stupendo, accorato «Ah! Chi ne aita ?» che apre sulle tenebre che opprimono l'Egitto, sino al culmine della struggente invocazione a Dio «Dal tuo stellato soglio». Una azione tragico-sacra con due bassi protagonisti in fiero contrasto, Mosé e Faraone; e senza concedere al primo tenore Osiride una sua aria, come farà pure Verdi nel Nabucco per Ismaele.
Non tutta farina del suo sacco
Premesso che, come capitava, s'era avvalso di qualche collaboratore - il Carafa gli scrisse l'aria di Faraone poi sostituita nel 1822 da una sua autografa - Rossini ne rifuse le cose migliori in una prima versione parigina del 1822 per il Théâtre Italien, e quindi nel fastoso grand-opéra Moïse et Pharaon del 1827. Indubitatamente tutt'altra cosa, mischiando ulteriori autoimprestiti e molto materiale nuovo, con un primo atto ed i balletti in più; e presentando una struttura più magniloquente ed una tinta del tutto diversa.
La sua trasposizione italiana del 1829, intitolata semplicemente Mosè, mantenne a lungo una considerevole popolarità; ma le recenti rivisitazioni della partitura napoletana hanno rivelato una tale varietà di effetti espressivi, di strumentazione, di invenzioni musicali da farne uno degli apici del Rossini 'serio, al meglio del suo ruolo di vero musicista/poeta/pittore.
Un cast imperniato su due voci di basso
Tutto il cast modenese, ben congegnato, ruota ovviamente alla biblica figura di Mosè, tratteggiata in modo encomiabile da Michele Pertusi – nobile basso cantante - con bellezza, morbidezza, pastosità e pienezza di voce; più quella sua naturale autorevolezza scenica, che gli fa erigere un personaggio a tutto tondo, imponente e statuario tanto nell'invocazione al Cielo «Eterno! Immenso!» quanto nell'invettiva «Tu di ceppi mi aggravi la mano». In fondo più un umanissimo condottiero, diremmo, che un ieratico profeta.
Gli tiene ben testa il Faraone cupo ed ambiguo di Andrea Pellegrini, dipinto con vocalità aristocratica, che s'avvale d'una emissione solida come roccia e saggiamente bilanciata. Doti sbalzanti nell'aria «Cade dal ciglio il velo».
Figure ben sbalzate
Il bravo soprano romeno Aida Pascu offre una ben contornata Alcìa: figura tenera, dolente, ma quando serve anche volitiva. Amoreggiando con lei Dave Monaco delinea un Osiride vocalmente agile, scattante e nervoso, dal fulgido e squillante colore tenorile, carico di impulsività giovanile.
Mariam Battistelli tratteggia magistralmente i tormenti emotivi della trepidante Amaltea, cesellando con finezza l'impegnativa aria «La pace mia smarrita»; Angela Schisano è una appassionata Amenofi; il sacerdotale Aronne e l'infido Mambre sono entrambi ben resi da Matteo Mezzaro ed Andrea Galli.
A capo dell'Orchestra Filarmonica Italiana e del buon Coro Lirico di Modena, che l'assecondano con convinzione, Giovanni di Stefano tiene dritta la barra del timone di questa partitura grandiosa ed alquanto articolata. E regola la rotta con savio equilibrio, infondendo giusto valore ed opportuna rilevanza sia agli squarci lirici ed espansivi, sia ai momenti epici e magniloquenti.
Pier Francesco Maestrini non smentisce il suo tipico stile, ed elabora una regia serrata, nervosa, incalzante, che focalizza bene i caratteri contrastanti dei personaggi, e sfrutta oculatamente le presenze del coro.
Massima importanza, in questo come in altri suoi spettacoli, hanno qui le fosche, pregnanti e talora apocalittiche video proiezioni di Nicolás Boni, che già da sole danno vita ad un imponente apparato scenografico, atto a rendere le immaginifiche immagini bibliche. Pertinenti ed accurati i costumi di aulica foggia disegnati da Stefania Scaraggi e Polo Vitale; perfette le luci impostate da Bruno Ciulli.
Nota finale. Coprodotta con i Teatri di Piacenza e Reggio Emilia, Mosè in Egitto vi andrà poi in scena rispettivamente a fine ottobre e metà novembre. Ma, volendo, la recita modenese può essere rivista e goduta da casa grazie al portale OperaStreaming.