Scorre lo sguardo per la sala del Teatro Verdi, dai posti tutti occupati. Effetto delle sei recite sold out del Nabucco, opera particolarmente amata dal pubblico triestino. L'offerta in soli nove anni di tre diverse produzioni di questo giovanile titolo verdiano, tardivo frutto del filone delle “opere quaresimali”, è un segno eloquente di ciò.
Lo stesso, più o meno, è infatti accaduto infatti nel 2015 e nel 2019, allorché venne proposta con le regie di Stefano Poda prima, e di Andrea Cigni poi. E questa, fatti i conti, è un'edizione in ogni verso esemplare.
Uno spettacolo che arriva da Zagabria
Adesso il testimone passa a Giancarlo del Monaco, che a Trieste ripropone un allestimento pensato nel 2022 per il Teatro Nazionale di Zagabria nell'ambito del quale, senza fronzoli superflui, la sua regia punta dritta al sodo in un trend drammaturgico d'immediata teatralità. Allestimento alieno da ghiribizzi, forse un tantino didascalico; nondimeno persuasivo, col merito di restar fluido malgrado i continui su e giù del sipario imposti dal libretto del Solera.
Gli ottocenteschi costumi di William Orlandi evocano un'Italia irredenta e quarantottesca, in pieno Risorgimento. Ecco che Zaccaria che durante la Sinfonia passa e ripassa sulla pietra una grande scritta “Viva Verdi”. Ecco dunque che gli assiri sono trasformati in pomposi militi austriaci, con Nabucco che pare na stampa e na figura - come direbbe Camilleri - di Francesco Giuseppe.
Il Risorgimento italiano in scena
E' uno spunto visivo già visto e rivisto, inaugurato dai fastosi Vespri siciliani diretti da Gavazzeni nel 1970 alla Scala. Nulla di nuovo sotto il sole. Non poco in contrasto, peraltro, con la monolitica scenografia che sempre Orlandi propone da capo a fine, fatta d'opprimenti muraglie variamente combinate.
Andrebbero bene per il maestoso Tempio di Salomone, sfondato dal cannone degli invasori, non certo per la ricca Babilonia resa così senza sfarzose sale reali, senza fiorenti giardini pensili, senza verdeggianti rive dell'Eufrate. Quanto alle luci di Wolfgang von Zoubek, abbiamo visto di meglio.
Un concertatore dalla verace tempra verdiana
Concertatore di indubitabile competenza, e verace interprete verdiano, Daniel Oren. Forte del suo spiccato senso teatrale, impone sulla scena una vivida tensione drammatica; nella buca, incalzante speditezza e bella varietà di dinamiche, sonorità scolpite e lussureggianti, mettendo alla frusta un'Orchestra del Verdi in piena sintonia, pronta ad assecondarlo con slancio e brillîo di colori. Bella la Sinfonia, bello il Preludio alla quarta parte, morbidi i violoncelli e brava pure la Civica Orchestra di fiati, impeccabile banda di scena.
Il maestro israeliano sa essere anche un po' ruffiano, al punto da sollecitare apertamente la sala, in veste di claqueur e con simpatica gestualità, alla richiesta del bis di «Va pensiero». Appuntamento ovviamente attesissimo, che il Coro diretto da Paolo Longo ha appena risolto superlativamente, e replica schierato in boccascena; così come magistralmente svolge tutto il suo impegnativo ruolo.
Dalla Russia un Nabucco esemplare
Passiamo ai cantanti. Il quarantenne baritono siberiano Roman Burdenko conferma le qualità dimostrate nel suo Nabucco all'Arena di Verona. Vale a dire voce schietta, da fiume in piena, però saviamente controllata; voce rotonda, omogenea nell'intera gamma, dal bronzeo e fascinoso colore, accompagnata da uno spiccatissimo carattere interpretativo.
Fattore indispensabile, onde conferire statuaria autorità alla sua figura, e rendere pienamente, al momento opportuno, la fragilità d'una mente momentaneamente confusa. Abigalille, archetipo di amazzoni guerriere e di soprani drammatici d'agilità, trova in Maria Josè Siri tutto quanto le occorre: una vocalità lanciata, dallo smalto lucente, svettante nelle cabalette; pieno dominio dell'ardua tessitura, con buona coloratura 'di forza' e predisposizione ai repentini scatti agli acuti gestiti facilmente, a tutto spiano. Da apprezzare poi la resa plausibile del ripiegamento inopinato e doloroso di «Su me...morente...esanime». Momento da grande attrice.
Zaccaria, sacerdote o politico?
Il baritono croato Marko Mimica porta in scena uno Zaccaria musicalmente eccellente, solido ed aristocratico; ma il suo personaggio risulta un po' tetragono, poco sacerdote e più politicante, su spinta della regia.
Il soprano azero Elmina Hasan tratteggia una Fenena molto espressiva, soave, ma dalla linea vocale un po' esile; molto vigore tenorile e piacevoli lucentezze metalliche scopriamo invece nell'Ismaele di Carlo Ventre. Validissimo partneriato, con Cristian Saitta a far Il gran sacerdote di Belo, Christian Collia come Abdallo e Elisabetta Zizzo quale Anna. Nel secondo cast figurano Youngjun Park (Nabucco), Olga Maslova (Abigaille), Rafal Siwek (Zaccaria), Francesca di Sauro (Fenena).