Secondo capitolo al Teatro Alighieri di Ravenna della 'Trilogia d'autunno' - propaggine ultima del Ravenna Festival 2023 - il Nabucco di Verdi vede salire sul podio di nuovo, dopo la Norma del giorno prima, Riccardo Muti alle prese d'un titolo fra i suoi preferiti. Tale sin dalla giovanile incisione EMI del 1977, e dalla memorabile apertura scaligera del 1987. Cose di decenni fa, eppure sembra ieri.
Nel tempo, la sua severa ed asciutta restituzione delle partiture verdiane – seguendo una linea interpretativa ereditata da Toscanini per il tramite del suo maestro Votto – si è nondimeno in qualche misura ammorbidita, a favore di un metronomo meno rigoroso e più duttile. Sfociando così in esecuzioni lascianti maggior spazio alla suprema ricerca dei dettagli, ad un equilibrato abbandono emotivo, all'elasticità del fraseggio orchestrale, alla piena sintonia con i cantanti.
Prova ne sia, oltre alle recenti prove verdiane proprio al Ravenna Festival – vedi un recente Macbeth (2018) di rara intensità introspettiva, od un Falstaff (2014) che definire paradisiaco sarebbe ancor poco - questo ultimo suo Nabucco che - grazie anche ad un cast indovinato in tutte le sue componenti - attinge a risultati decisamente superlativi.
Un testo fondamentale del Risorgimento
Muti, lo si comprende subito, vede la terza opera di Verdi come un capitolo 'sacro' del nostro Risorgimento, nella concezione eroica del riscatto dalla schiavitù – dietro il popolo ebreo, l'Italia in catene - ottenuto non solo con le armi, ma pure attraverso una religiosità profonda ed una fede incrollabile nel Divino. Sceglie dunque un procedere impetuoso, tagliente e serrato - mai però aggressivo - avanzando con corrusca e concitata enfasi drammatica, ma senza abiurare ad alterni momenti di abbandono lirico.
Mette a frutto tutte le risorse della 'sua' orchestra, che è la Giovanile Luigi Cherubini, preparata all'evento con la solita preziosa ed affettuosa attenzione. Il Coro è quello che ama impiegare quando gli è possibile, vale a dire quello del Municipale di Piacenza, curato dal bravissimo Corrado Casati. Ineccepibile in ogni frangente, compreso un commosso «Va' pensiero» che ben merita il caldo applauso della sala.
Un cast costruito con intelligenza
Cast idoneo ed efficiente, come detto. Serban Vasile delinea il suo nobile Nabucco con emissione piena e vigorosa, bel colore baritonale, profondendo nel suo personaggio una spiccata e vivida teatralità. Lidia Fridman pone la sua ammirevole e fiammeggiante vocalità, da soprano drammatico prossimo al registro mezzosopranile, al servizio d'una Abigaille dalla sagoma intrigante e superba, perfettamente delineata tanto nella sorvegliata condotta vocale – acuti sparati a caso, anche nelle cabalette, non ne sentiamo mai - quanto nel fiero carattere guerriero.
Evgeny Stavinski è un Zaccaria musicalmente poderoso, espressivo, ascetico, di vibrante austerità. Riccardo Rados ci porge un Ismaele dal timbro caldo, e dalla linea canora elegante e rifinita; Francesca di Sauro, da parte sua, è una fresca e ben sfumata Fenena. Senz'altro adeguati il Gran Sacerdote di Adriano Gramigni, l'Abdallo di Giacomo Leone, l'Anna di Vittoria Magnarello.
Un vulcano di musica
E' come un vulcano che erutta infiammati lapilli musicali, il Nabucco di Verdi. Estremo esempio, sulla scia del Mosè di Rossini e del Diluvio universale di Donizetti, di “opera quaresimale”: genere solitamente grandioso che mischiava con furbizia sacro e profano, allo scopo di offrire comunque uno spettacolo teatrale in tempo di chiesastica penitenza. Ma che alla fine, se di buon gradimento, si replicava nelle altre stagioni.
Qui però, in assenza di regia, gli interpreti fermi ai lati e vestiti a proprio capriccio, il Coro immobile al centro, con bianche tuniche che cambiano colore a seconda delle luci, a far spettacolo stanno solo le video proiezioni elaborate a quattro mani dal visual artist Svccy (Matteo Succi) e dal visual programmer Davide Broccoli, in un alternarsi ininterrotto di oggetti della ritualità ebraica – quali il candeliere Menorah, o i rotoli della Tanakh, la Bibbia ebraica - e di dettagli d'architettura e decorazioni assire. A collegare l'insieme, il sapiente light design di Eva Bruno. Insomma, di fatto una versione pressoché concertistica.
Ripetendo il successo della Norma del giorno prima, in un Alighieri in sold out il pubblico ha tributato a tutti lunghi e generosi applausi.