Ultima appendice del Ravenna Festival, è dal 2012 la Trilogia d'autunno: tre appuntamenti al Teatro Alighieri legati da un filo rosso, orbitanti intorno ai mondi della musica, della prosa, della danza. L'anno scorso andò in scena il trittico Mozart/Da Ponte, in una agile produzione proveniente da Stoccolma. Quest'anno si torna al nostro '800, con un fastoso Gala verdiano e due titoli di grande repertorio, Norma e Nabucco.
Rimettere Norma sul leggio dopo tanti anni
Ad unire le tre produzioni, la presenza sul podio del direttore italiano di maggior prestigio, vale a dire Riccardo Muti. Il quale torna al capolavoro belliniano a trent'anni di distanza dalle recite del Ravenna Festival 1994, registrate dalla EMI. Diretto altrove in rare altre occasioni, a Vienna e Firenze; ed al centro della sua Italian Opera Academy 2023, tenutasi a novembre presso la Fondazione Prada di Milano con tanto di concerto finale.
Occasione per riscoprire con i suoi allievi – giovani direttori d’orchestra e maestri collaboratori – non solo l'indubbia bellezza delle pagine più note ma anche – citiamo parole sue - «la grandiosità dei recitativi che danno alla partitura di Bellini la levatura drammatica delle tragedia greca. Scritti in modo che la scultura della parola detta, quasi parlata, assuma quasi maggiore importanza della parola cantata».
Un vertice del neoclassicismo in musica
In effetti Norma, insieme alla Medea di Cherubini ed alla Vestale di Spontini, sta al vertice del neoclassicismo in musica, attingendo non tanto al mondo algido ed accademico di Mengs e Thorvaldsen, quanto a quello vivido e fremente di Canova, David e Ingres, ad un passo, ormai, dall'irrompere del Romanticismo.
Lo fa nella sobrietà di mezzi musicali, che schiariscono ed alleggeriscono l'orchestra ponendo in primo piano voce e melodia; e nell'apoteosi del più fine e misurato belcanto, in meraviglioso equilibrio tra lirismo e tragicità, senza però nascondere il bruciante dirompere delle passioni individuali.
Una direzione accuratissima e vigile
E poi se sul podio sale lui, Riccardo Muti, concertatore profondo e finissimo, preciso ed esigente al massimo - mai tuttavia pedante, vedere per credere alcune sue prove trasmesse su RAI 5 - il risultato finale non può che essere straordinario. Il controllo dell'orchestra - in questo caso la prediletta Cherubini, composta da giovani talenti – è davvero assoluto: gli basta un piccolo gesto, un accenno, uno sguardo, per ottenere sollecita risposta da una compagine diligente, vibrante e morbida al tempo stesso.
Il Coro, collocato sullo sfondo, è quello impeccabile del Teatro di Piacenza sapientemente addestrato da Corrado Casati, che gode da sempre della sua fiducia. Gli interpreti, posti divisi ai lati, non sfuggono mai alla sua vigile attenzione, e spinti ad esprimersi al loro meglio. Così questa sua rilettura belliniana, attraversata da un profondo respiro teatrale, appare contemporaneamente solida come il granito e morbida come il velluto, in uno svilupparsi impellente che unisce alla precisione dei dettagli un'affettuosa cantabilità.
Torna il cast della Fondazione Prada
Versione 'giusta', con due soprani a confrontarsi. Il ruolo del titolo è appannaggio di Monica Conesa, soprano dal forte temperamento scenico, che sfodera un registro medio ed acuto ben dominato e di considerevole consistenza; ma quando la voce scende in basso affonda in un timbro ferrigno, stridente, assumendo un colore metallico. Una replica in negativo della Callas.
Tutt'altra stoffa vocale scopriamo in Paola Gardina, chiamata a sostituire all'ultimo Eugénie Joneau: la udiamo cantare con linea vocale immacolata, morbidezza di timbro e grande varietà di tinte, oltre che con una serica dolcezza d'intonazione. Svetta su tutti insomma, in un procedere da manuale, la sua stupenda Adalgisa, oltre tutto pienamente centrata in quella coscienza adolescenziale su cui alita un brivido tragico.
Le redini di Pollione le tiene saldamente il tenore albanese Klodjian Kaçani, a proprio agio nella veemente tessitura baritenorile del condottiero romano, avendo dalla sua maschio vigore e fermezza di fraseggio, fierezza di declamato, voce ben timbrata e dai nobili accenti. Vittorio de Campo è un possente, musicalissimo Oroveso; Vittoria Magnarello è una buona Clotilde, Riccardo Rados un efficiente Flavio.
Forma semi scenica? Anche no
Norma, al pari del Nabucco di cui parliamo a parte, viene preannunciata in assetto semiscenico, ma di fatto la forma è concertistica. Questo perché i cantanti sono vestiti a modo loro, non si muovono dalle postazioni assegnate ed interagiscono pochissimo, senza il benché minimo accenno di regia.
Per il resto, i componenti del coro, immobili nel mezzo, indossano tuniche candide che cambiano aspetto al mutare delle luci. Sullo sfondo ed ai lati, appaiono però le video proiezioni elaborate dal visual artist Svccy (al secolo Matteo Succi) e dal visual programmer Davide Broccoli: un piovere di dettagli greco-romani, alternati a suggerimenti di verzura. Superlativo senz'altro il light design di Eva Bruno.