Due anni di pandemia hanno solo temporaneamente arrestato – senza scalfirlo – il successo ventennale di Notre Dame de Paris, l’opera popolare con musiche di Riccardo Cocciante e liriche di Luc Plamondon, nella versione italiana di Pasquale Panella.
Dallo scorso marzo, lo spettacolo ha ripreso il tour celebrativo del ventesimo anniversario, che vede esibirsi in tutta Italia il cast originale. Ed è proprio il caso di dire - parafrasando il claim dell’opera - che, dopo 20 anni, “la musica continua a essere spettacolare”.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
In Italia sono pochi i teatri che, per capienza e dimensione del palco risultano adatti ad accogliere Notre Dame de Paris, il cui monumentale allestimento viene, infatti, solitamente ospitato all’interno di palazzetti sportivi o – nei mesi estivi – in grandi palcoscenici all’aperto.
L’occasione di godersi Notre Dame de Paris dentro un teatro è da cogliere al volo: col senno di poi, l’unica “controindicazione” di aver assistito a questo spettacolo nella cornice di un prestigioso teatro d’opera, è risultata la resa del suono, con le basi musicali che spesso sovrastano le voci degli interpreti.
Dentro “Il tempo delle cattedrali”, tra acrobati e breakers
A distanza di 20 anni è ancora Matteo Setti, nel ruolo del poeta Gringoire a far rivivere al pubblico Il tempo delle cattedrali, deus ex machina di un racconto che è espressione di un mondo cosmopolita in fermento e intende affermare la Libertà come principio individuale, collettivo e culturale.
Anche in teatro svettano le scenografie, con le colonne di pietra sulla cui sommità si ergono i “mostri di pietra”, gli unici amici di Quasimodo; e naturalmente le campane (le “tre Marie”), le sole che riescono a colmare il “vuoto d’amore” che la bella Esmeralda (e la crudeltà del mondo fuori Notre Dame) lascia nel cuore del campanaro.
Di questo imponente spazio scenico sono autentici “padroni” e protagonisti i ballerini, acrobati e breakers provenienti da tutto il mondo, che fanno parte dello spettacolo: siano essi clandestini che chiedono asilo a Notre Dame, o membri della Corte dei Miracoli, o ancora coloro che compiono mirabolanti evoluzioni a cavalcioni delle campane, sono comunque anche loro a scatenare l’entusiasmo e fragorosi applausi del pubblico ogni volta che entrano in scena.
I protagonisti
Giò Di Tonno, a distanza di anni, è ancora un eccellente Quasimodo, con una tessitura vocale meno avvolgente ma sempre emozionante e ancora più struggente.
Nella replica che abbiamo visto, la giovane Ilaria Mongiovì ha interpretato la bella zingara Esmeralda, in sostituzione di Lola Ponce: una voce fresca, dai toni sbarazzini, che esprime con naturalezza il carattere leggiadro e, al contempo, deciso di una creatura che è ormai entrata nell’età dell’amore. Una disposizione d’animo che emerge chiaramente nei duetti con Clopin (nell’interpretazione, ormai consolidata, “ruvida” e, a tratti, scanzonata di Leonardo Di Minno).
Cristian Mini ha sostituito Vittorio Matteucci nel ruolo di Frollo: la sua voce, sicura ma meno maestosa ha dato vita a un cattivo più “umano” quasi piacevole nel suo essere in perenne tormento tra il suo ruolo di uomo di fede e il desiderio di possesso che prova nei confronti di Esmeralda.
Graziano Galatone, nel ruolo di Febo, rimane una garanzia e gli anni che passano hanno reso ancora più credibile il tormento interiore che dilania il suo personaggio: l’amore per Fiordaliso (Claudia D’Ottavi) contro la passione per Esmeralda, sentimenti contrastanti, espressi ai massimi livelli nel brano Cuore in me.
La chiusura dello spettacolo è avvenuta, d’obbligo, con il ritornello del brano Il tempo delle cattedrali, intonato dagli artisti con il pubblico in sala. Vent'anni e non sentirli.