Il Festival Illica di Castell'Arquato, proseguendo nella presentazione di opere liriche cui Luigi Illica prestò il suo talento letterario, recupera il titolo più noto – Nozze istriane - di un compositore oggi pressoché dimenticato, Antonio Smareglia (1854-1929), ma che conobbe non pochi momenti di celebrità.
Nato a Pola in Istria – e dunque suddito austriaco - da padre istro-italiano e madre croata, nella sua carriera Smareglia conobbe autentici trionfi e clamorosi tonfi, rimanendo in fondo un musicista di indiscusso valore. Ma senza patria, perché troppo 'tedesco' per l'Italia, troppo 'italiano' per gli ambienti austro-germanici. Causa non secondaria dell'ingiusto oblio in cui è presto caduto questo autore dal destino in effetti tormentato; e colpito, fra l'altro, dall'assurda accusa di jettatore.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Un avvio assai promettente, poi quasi un fotoromanzo
Formatosi a Milano, vi debuttò sotto buoni auspici presentando le opere Preziosa (T. dal Verme, 1879) e Bianca da Cervia (La Scala, 1882); ma, essendosi schierato tra i filowagneriani, entrò in rotta di collisione con la corazzata Ricordi. Male gliene incolse, dovette abbandonare l'Italia.
Trasferitosi oltre le Alpi, conobbe momenti di gloria con Il vassallo di Szighet (Opera di Vienna, 1889) e Cornill Schut (T. Nazionale di Praga, 1893). Ma per il carattere ostico e complicato, anche qui alla fine si inimicò tutti: amici, impresari, direttori e teatri. In più, spariti i non pochi denari guadagnati, affidati ad un disonesto amministratore, dovette rifugiarsi nella casa paterna di Dignano, a due passi da Pola.
E proprio qui lo raggiunse Luigi Illica, cui aveva chiesto un libretto per il suo quarto titolo teatrale, che fu appunto Nozze istriane. Opera ben accolta al Comunale di Trieste nel 1895, intraprendo poi un felice cammino prima d'essere pian piano accantonata. Sinora solo due recuperi moderni, a Trieste, nel 1959 e 1999. L'idea della fosca vicenda ambientata fra le pietrose case dignanesi fu comunque tutta di Illica: ricalcando la scia di Cavalleria rusticana e narrando di amori ostacolati, biechi sotterfugi e rivalità finite nel sangue. Una trama buona da fotoromanzo, senza dubbio.
Un'opera d'ambientazione istriana
Lo scrittore di Castell'Arquato, preso dal mondo istriano, svolse un buon lavoro tratteggiando compiutamente personaggi e luoghi. Quanto a Smareglia, eresse un'impalcatura musicale solida, accurata, piena di felici invenzioni melodiche e freschi accenni folklorici. Ma sopra tutto vi immise uno strumentale vario, vigoroso e seducente; cosa, questa, che fu sempre la sua principale qualità. Ne uscì però un melodramma dai tratti un po' ibridi poiché, come osserva Paolo Petronio - massimo studioso di Smareglia - ad un libretto spiccatamente verista corrispose una musica nettamente antiverista. Ma non per questo meritante l'ingiusto oblio in cui è caduto.
Un piccolo miracolo
Grande merito dunque al Festival Illica. Il piccolo palco all'aperto non aiuta certo, ma la minimalistica ed espressiva scenografia di Anna Bonomelli, autrice anche dei costumi anni '40 - '50, assolve bene la sua funzione.
La densa regia di Davide Maranchelli procede con semplicità ed accortezza, cura i personaggi e sa rendere a puntino l'ambiente chiuso e provinciale d'una piccola città agricola, immettendo saggi tocchi descrittivi. Come all'inizio la suggestiva processione notturna che culmina con la cerimonia taumaturgica delle zeriole, le candele votive con cui nella festa di San Biagio – patrono di Dignano e protettore dai mali di gola – si sfiora il collo dei fedeli.
Dirige con idee molto chiare e decise Jacopo Brusà: la sua coscienziosa concertazione rivela un accurato studio della partitura. Tiene saldo il filo della narrazione, lega bene ogni episodio, accompagna con eleganza le aperture melodiche. Fatta tara d'una acustica ingrata, cura bene ogni dettaglio e sfumatura strumentale, mettendo a frutto la bravura dell'Orchestra Filarmonica Toscanini. E, cosa importantissima in condizioni sì malagevoli, supporta a dovere l'impegno dei cantanti.
Peccato, una sola recita
Sobbarcarsi la fatica di studiare un'opera fuor di repertorio - e per un'unica recita! - merita tutto il nostro apprezzamento. Sarah Tisba ci dona una Marussa dal carattere intenso, conferendole voce piena e salda, ricca di flessioni timbriche e belle sfumature. E supera agevolmente la struggente scena del secondo atto, «Se passo e non saluto». Giuseppe Infantino è un Lorenzo un po' sommario; il timbro è robusto e piacevole, il fraseggio caldo, ma il personaggio resta a metà.
Filippo Polinelli disegna un Biagio vocalmente possente e di ottima valenza scenica, sensale mefistofelico ed insidioso. Ammirevole la dolce Luze di Giovanna Lanza, specie nella mesta sua canzone «Luze un amante aveva». Graziano Dallavalle è un compiuto Menico, babbo gretto e bifolco; Francesco Samuele Venuti un ottimo Nicola. Bene il Coro preparato da Riccardo Bianchi.