L'Orlando furioso in scena al Teatro Comunale di Ferrara conclude un trittico dedicato a Vivaldi, avviato a dicembre 2021 con Il Farnace e proseguito nel marzo 2023 con Catone in Utica.
Auspichiamo però che la collaborazione con Federico Maria Sardelli, non solo efficente direttore ma anche fra i massimi studiosi del Prete Rosso, e con l'Orchestra barocca dell'Accademia dello Santo Spirito non si fermi qui. Il teatro di Vivaldi è una collana di perle una più lucente dell'altra, e vale la pena di riscoprirle.
L'opera forse più eseguita di Vivaldi
De l'Orlando furioso, il primo melodramma vivaldiano ad essere fissato su disco nella memorabile incisione di Claudio Scimone del 1977, Sardelli curò nel 2012 un'edizione critica; ma da poco, sempre per Ricordi e con la collaborazione ora di Alessandro Borin, ne ha approntato una seconda che tiene conto degli ultimi studi.
Su queste basi si può erigere un'architettura scenica che permetta di comporre, attraverso la democratica recisione di un’aria per ogni personaggio, uno spettacolo più conciso, dal momento che nella versione integrale occuperebbe quattro ore di sola musica. Troppe, per le attuali esigenze teatrali. In tal foggia è andato per esempio in scena nel 2017 a Martina Franca e nel 2018 e 2023 a Venezia, sempre diretto da Diego Fasolis.
Un concertatore spigliato e sobrio
Nella sala ferrarese il testimone passa a Sardelli, concertatore usualmente sobrio ed asciutto, che ripristina l'originaria scansione in tre atti. L'impressione è che la sua attenzione abbia riguardato in particolare l'orchestra, dove troviamo i soliti due cembali, mentre spariscono liuti, arciliuti e tiorbe che nel 1727, anno di licenziamento dell'opera, non si usavano più. Ipse dixit.
Ma il risultato sonoro generale, al di là dell'eccellente prestazione dell'impeccabile Accademia dello Spirito Santo, risulta spedito sì, ma di una certa uniformità, specie nel tetragono continuo, riscattata solo dai momenti in cui appaiono corni e trombe, o quando nella cullante «Sol da te, mio dolce amore» interviene un celestiale traversiere concertante. Ed è quello di Gregorio Carraro.
Regia spartana, poco immaginifica
A prendersi carico della regia, come gli anni passati, è Marco Belussi, che però stavolta ci persuade meno. La vicenda ariostesca, ridotta ai soli intrecci erotici dal librettista ferrarese Grazio Braccioli, è da lui privata di tutti i suoi elementi di colore, e specie di quelli magici: niente corazza da guerriero per Bradamante, niente palazzo fatato, niente ippogrifo per Ruggiero; e nessun mare in tempesta, fonte magica, orrido Aronte, terremoto e crollo del tempio.
In compenso, una brutta camicia di forza per l'Orlando pazzo. Insomma, nella scenografia pressoché vuota, basata com'è solo su riflessi di specchi (è di Matteo Paoletti Franzato), con gelidi videomapping proiettati sul velario antistante e sullo sfondo (sono di Fabio Massimo Iaquone), con i costumi a mezzo tra passato e presente – molto aggraziati, peraltro - disegnati da Elisa Cobello, la severa, compassata ed atemporale drammaturgia di Belussi andrebbe bene forse per Sei personaggi in cerca d'autore o Il giardino dei ciliegi (che in effetti ad un certo momento appaiono in fiore sullo sfondo), non certo per questo peculiare esempio di immaginifico ed irreale teatro barocco, che di illusioni dovrebbe vivere.
Da un ruolo all'altro
Sonia Prina mette da parte la figura di Orlando, più volte affrontata in passato, ed abbraccia quella della maga Alcina. Non cambiano però le belle qualità espressive, e quelle d'una voce solida, lucente, dalla linea di canto impeccabile ed elegante, come ad esempio nella introspettiva pagina «Così potessi anch'io».
Il ruolo eponimo finisce nelle mani del controtenore ucraino Yuriy Mynenk, perfettamente in grado di controllarne con lodevole nitidezza e varietà timbrica tutte le funamboliche colorature, con esemplare controllo del fiato, mettendo a frutto un'ammirevole estensione di gamma. Se alla fine appariva intensamente drammatico l'impegnativo recitativo del delirio, meritatissimo prima l'applauso alla fine dello spettacolare «Sorge l'irato nembo».
Il trionfo del belcanto barocco
La multiforme figura di Angelica è resa con un misto di volitivo imperio e morbida eleganza vocale dalla bravissima Arianna Venditelli. Filippo Mineccia supera sé stesso con un Ruggiero di esemplare consistenza ed intensità: gli dobbiamo la perfetta resa di due pagine bellissime, «Sol per te» e «Che bel morirti in seno».
L'ambigua Bradamante trova in Loriana Castellano un sontuoso velluto, un'emissione di squisita naturalezza, un fraseggio ricco di sfumature. Al geloso Medoro Vivaldi consegna una delle arie più belle del repertorio barocco, «Qual candido fiore» , che Chiara Brunello canta con un misto di forza pulsante e grazia squisita. Mauro Borgioni è un irreprensibile Astolfo. L'allestimento è una coproduzione del Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Comunale di Modena, Bayreuth Baroque Opera Festival e Daegu Opera House.