Ormai quando viene rappresentata una nuova edizione di un’opera del grande repertorio l’attesa è tutta per la messa in scena. I registi di oggi si sbizzarriscono spesso in letture sorprendenti, nel bene e talvolta nel meno bene.
La sorpresa in questo Otello al Teatro dell’Opera di Roma è che il brillante regista Allex Aguilera, apprezzato nella capitale per le sue collaborazioni con il collettivo catalano La Fura dels Baus, propone una versione nel solco della tradizione più classica, con la scena fissa ed i personaggi poco mobili, lasciando alla musica il compito di raccontare. Sul podio dell’Orchestra di casa il beniamino del pubblico romano Daniel Oren.
La vicenda si svolge tutta in un cortile rinascimentale, tre ordini di arcate, grande simmetria appena violata da un praticabile a mezza altezza che viene usato per l’ingresso in scena dei personaggi. Il folgorante inizio, reso splendidamente dal suono avvolgente e violento dell’orchestra e soprattutto del Coro, è sottolineato dalla proiezione su un velo trasparente dell’uragano, con le onde, i fulmini, le nuvole di tempesta, un vero e proprio ologramma che enfatizza il drammatico approdo della nave del Moro e prepara quell’ Esultate! che è il manifesto eroico del personaggio.
Non ci sono eroi
L’eroismo pubblico del protagonista contrasta però con i suoi tormenti e le sue ossessioni più intime. Otello è una opera anomala nella produzione verdiana, rifugge l’impegno pedagogico che indica il bene e il male, è una vicenda in cui non ci sono ideali da perseguire, è una tragedia della psiche con le incertezze e le debolezze di una umanità tutt’altro che eroica, un teatro di vinti.
La scrittura musicale descrive con efficacia gli stati d’animo, il canto di Desdemona è l’unico con respiro melodico ampio, il diabolico Jago si esprime con un canto spigoloso, quasi recitato, sospeso, mentre il protagonista inizialmente è più consonante con l’espressione della inconsapevole e innamorata Desdemona per poi, roso dai tormenti della gelosia, avvicinarsi al dramma con un canto frammentato quasi parlato, appena addolcito dal ritorno del tema del bacio dopo l’assassinio e appena prima del suicidio.
Il protagonista è impersonato da Marco Berti, bellissima voce adeguatamente espressiva nell’evoluzione del personaggio, una interpretazione mai troppo violenta, sempre più intensa e coinvolgente verso la conclusione del dramma.
Vittoria Yeo è una Desdemona dolce e ingenua, molto applaudita dal pubblico e dallo stesso direttore nella Canzone del salice, Vladimir Stoyanov è uno Jago giustamente odioso, ben descritto nella sua perversione. Gli altri comprimari tutti efficaci nei loro ruoli.
Daniel Oren ha estratto dall’orchestra con cui ha una evidente sintonia anche affettiva, un suono travolgente, ma preciso, di grande presa sul pubblico. Protagonista della serata è stato anche lo splendido Coro ottimamente guidato da Ciro Visco.
La scena fissa rinascimentale si deve all’opera di Bruno de Lavernère mentre le luci più cupe, quasi barocche sono di Laurent Castaingt. I costumi, anch’essi rinascimentali, con qualche richiamo in quelli dai colori più accesi alle suggestioni delle opere di Piero della Francesca sono di Francoise Raybaud Pace.