La regia di Andrea Cigni, proposta al Luglio Musicale Trapanese, opera un dichiarato tradimento del libretto, per rendere più leggibili le dinamiche teatrali della drammaturgia.
Rappresentato per la prima volta nel 1887, Otello è l'opera che interrompe la più lunga pausa creativa dell'intera produzione verdiana. La distanza con la scritture precedenti, e specialmente coi capolavori più popolari (Rigoletto, La traviata, Il trovatore), si avverte già al primo ascolto: la tradizionale struttura con recitativi ed arie diventa ora un continuo musicale che sostiene la tensione drammaturgica senza le tipiche ripartenze che accompagnano le parti chiuse, in cui il protagonismo della voce sospende il fatto teatrale fino a provocare, nei casi estremi, l'interruzione della scena con l'applauso.
Contro questo modo d'intendere l'opera si era espresso nel 1864 lo scrittore Arrigo Boito, a cui quindici anni dopo sarebbe stata affidata la trasposizione dell'Otello di Shakespeare in libretto per l'ormai quasi settantenne Giuseppe Verdi. Il giovane scapigliato ridusse la vicenda originaria ad una narrazione più breve e diretta, circoscritta all'isola di Cipro, con caratteri netti e dinamiche sceniche orientate al servizio della musica. Nel libretto di Boito è Jago il centro assoluto dell'azione drammatica, un regista maligno capace di conformare ogni volontà al proprio disegno disumano.
Il tradimento programmato del testo
Nella regia di Andrea Cigni, proposta al Luglio Musicale Trapanese, il tempo dell'azione si sposta alla prima metà del Novecento; opzione immediatamente svelata dalle divise dei soldati veneti, dagli abiti dei personaggi, e successivamente ribadita dalle ambientazioni, dalla gestualità degli attori, e dalle soluzioni a tratti quasi cinematografiche.
Il regista opera un dichiarato, efficace tradimento del libretto di Boito – iperletterario ed arcaizzante – per rendere più leggibili le dinamiche teatrali della drammaturgia; una scelta che attraverso una precisa ricodifica estetica spinge lo spettacolo verso la sensibilità di un pubblico non necessariamente avvezzo alla lirica e ai suoi stilemi, pur senza impoverire o banalizzare le ragioni dell'opera.
La sfida diventa invece di natura più intellettuale quando l'azione dei personaggi arriva a contraddire apertamente la parola: così Otello uccide Desdemona con un pugnale, anziché soffocarla; e a Lodovico che intima «La spada a me!» Otello consegna una rivoltella. Un inganno stavolta quasi magrittiano, con cui il regista interroga la vitalità del testo dichiarando la propria libertà di essere infedele al segno senza tradire il significato.
Un superbo concerto di voci
Magnifico protagonista della rappresentazione è il tenore lituano Kristian Benedikt, splendida voce possente e intensa, che interpreta con gran temperamento un Otello tormentato e fragile; gli si oppone lo Jago dell'ottimo Angelo Veccia, bel timbro tenebroso ed eccellente tecnica vocale, ieratica figura dal gesto lento, in opposizione alla frenesia del Moro, perché interprete fermo della liturgia del male. Brava e convincente Francesca Sassu, voce calda e flessuosa, che spinge Desdemona oltre la convenzione del personaggio ribellandosi con energia alle ingiurie di Otello in difesa della propria onestà: un'idea peraltro coerente con le celebri parole di Jago: “Desdemona è il duce del nostro duce”.
Soddisfacenti le prove di Simona Di Capua nel ruolo di Emilia, di Tatsuya Kashi nella parte di Cassio, di Marco Miglietta come Roderigo, e di Andrea Comelli – bella voce autorevole – come Lodovico; ed ancora di Federico Cavarzan e Roberto Agnello rispettivamente nei ruoli di Montano e dell'araldo.
Investire le risorse pubbliche in cultura fa bene
La giovane orchestra del Luglio Musicale Trapanese sotto l'esperta conduzione di Andrea Certa esegue con disinvoltura la difficile partitura verdiana restituendo una buona gamma di colori che arriva al pubblico nonostante l'esecuzione all'aperto. Ottima la prova del coro, diretto da Fabio Modica, e apprezzabile l'intervento delle voci bianche del coro Carpe Diem, guidate da Roberta Caly, nell'impervio concertato del secondo atto.
Meritano una menzione speciale i costumi e soprattutto le scene di Tommaso Lagattolla, impiantate su una piattaforma girevole sospinta a mano, che immergono la vicenda in un susseguirsi di spazi ora malinconici ed ora inquietanti, perfettamente appropriati all'idea di regia. Molto elegante la scelta di tributare, a conclusione dell'opera, il primo applauso ai tecnici addetti al movimento della sofisticata e pesante macchina scenica.
Fa davvero piacere constatare che questo longevo eppur giovane festival musicale segni ogni anno un nuovo livello di qualità nelle sue produzioni. Reinvestire gli utili pubblici in cultura è una scelta etica, di questi tempi neppure così scontata, che a ben guardare non smette di produrre effetti benefici sull'intera comunità dei cittadini.