La stagione autunnale del Teatro alla Scala ha visto una riuscitissima nuova produzione del capolavoro di Benjamin Britten Peter Grimes con la regia di Robert Carsen e la direzione dell’australiana Simone Young al suo debutto sul podio milanese.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Una storia di impossibile integrazione
Tratta dal poema The Borough di John Crabbe, l’opera narra del rapporto conflittuale tra il pescatore Peter Grimes e la comunità in cui vive. Grimes non riesce ad integrarsi con gli abitanti del borgo: viene percepito come una sorta di corpo estraneo e l’accusa di aver ucciso uno dei suoi apprendisti (fondata nel testo di Crabbe, mentre mai realmente dimostrata nell’opera di Britten) non fa che aumentare i sospetti e la diffidenza nei suoi confronti.
Sicuramente il suo carattere non lo aiuta: rude, scontroso, violento -ma perché, probabilmente a causa di violenze subite da piccolo, non conosce altro modo di esprimere le sue emozioni- Grimes risponde all’ostilità del borgo chiudendosi ancora di più e comportandosi in modo a sua volta ostile. La morte accidentale anche del secondo apprendista segnerà una rottura insanabile che lo costringerà a suicidarsi in mare.
Regia scabra, essenziale ma coinvolgente
Lo spettacolo di Carsen si basa su una scena fissa disegnata da Gideon Davey, autore anche dei costumi, che rappresenta una sala civica riadattata a tribunale a simboleggiare il fatto che Grimes è sempre sottoposto al giudizio dei suoi compaesani, che manifestano freddezza anche nei confronti di Ellen Orford, l’unica che vede qualcosa di buono in lui e cerca di redimerlo e che in una scena di grande efficacia viene lasciata sola al centro del palcoscenico mentre il resto del borgo la osserva dall’alto della balaustra che circonda la sala.
Una regia scabra, essenziale ma puntualissima nella gestualità, che si dipana in un ambiente dai colori freddi e lividi scolpito dalle luci dello stesso Carsen e di Peter Van Praet, a rimarcare la totale mancanza di calore umano in una comunità in cui la padrona del pub fa prostituire le nipoti, il farmacista spaccia stupefacenti e l’ipocrisia regna sovrana.
L’angoscia di Grimes è efficacemente rappresentata dalle videoproiezioni di Will Duke che ne scandagliano il volto e lo sguardo allucinato: un’angoscia che lo condurrà al tragico finale in cui lo vedremo affondare in mezzo al mare sulla sua barca, prima che venga ricostituita la scena iniziale in cui il borgo si appresta ad accusare un nuovo malcapitato, a riprova che l’atteggiamento rimane lo stesso e la storia è destinata a ripetersi.
Grande regia e grande esecuzione musicale
La partitura ha visto in Simone Young un’eccellente concertatrice. Il suo è un Peter Grimes estremamente drammatico e chiaroscurato che poco o nulla concede al lirismo: rabbia e violenza da un lato, disperazione e angoscia dall’altro. Ciò non toglie che gli interludi strumentali siano dei momenti di straordinaria poesia e bellezza.
Vero protagonista dell’opera è però il coro che diventa personaggio e costituisce una massa unica, compatta, proteiforme che domina l’intera vicenda. Straordinaria la prestazione del Coro del Teatro alla Scala diretto da Alberto Malazzi che si conferma un’eccellenza assoluta. E non a caso sono affidati proprio al coro i due momenti più icastici -e feroci- dello spettacolo: quando la folla rabbiosa invoca il nome di Grimes brandendo delle torce elettrice puntate sul pubblico, a dimostrazione che ognuno di noi è potenzialmente candidato al ruolo di vittima, e quando si scatena con violenza in una sorta di rito tribale attorno ad un falò improvvisato.
Brandon Jovanovich è un Grimes rude, tormentato, che fin dall’inizio lascia presagire che non sarà possibile una sua integrazione con gli abitanti del villaggio. La sua interpretazione, estremamente convincente, si ispira più ai tratti espressionisti di John Vickers rispetto a quelli più lirici di Peter Pears, avvalendosi di una solida una linea di canto ed una grande varietà dal punto di vista espressivo. Nicole Car è una Ellen Orford dal timbro squisitamente lirico e di grande musicalità mentre Ólafur Sigurdarson si cala con grande efficacia nei panni del bonario ma pragmatico Balstrode. Margaret Plummer è una Zietta dai tratti androgini affiancata dalle spigliate nipotine interpretate da Katrina Galka e Tineke Van Ingelgem. Ottimo il gruppo dei comprimari tra i quali si segnalano Michael Colvin (Boles), Peter Rose (Swallow), Leigh Melrose (Keen) e Natascha Petrinsky (Mrs Sedley).
Entusiasti al termine gli applausi del pubblico in particolare per Simone Young.