Parlare di sè stessi agli altri non è mai semplice. Estrapolare la propria intimità e metterla su un foglio può essere ancora più forte. Se a questo si aggiunge una vocalità timida e toccante, evocazione narrante di un passato e un presente vissuto, si sconfina nel campo di una profondità sentimentale interiore intoccabile, incontaminata e senza eguali.
E’ ciò che ha fatto Stefano Ricci, disegnatore e artista grafico di fama internazionale. Aveva “scritto” un libro su sua madre dal titolo Mia madre si chiama Loredana, una raccolta di disegni oggi diventata un libro appunto, edito da Quodlibet. Il libro è stato portato a teatro, messo in scena con la regia di Danio Manfredini.
Lo spettacolo Più giù è l’incontro di Stefano Ricci disegnatore (live painting), la sua voce penetrante, il contrabbasso “sofferto”, struggente e scuro di Giacomo Piermatti e il tagliente live eletronics di Vincenzo Core.
L’esperimento di trasposizione dell’intimità del disegno dalla carta al teatro, fa di questo spettacolo un rito sacro che, dal gesto primordiale del disegno inciso nella memoria e poi sulla carta, cresce nell’atmosfera attraverso l’elemento sonoro.
Più giù è uno spettacolo che parla ai sensi e al vissuto di ognuno, trattando un tema universale, quello della madre e non di una madre qualunque, ma di “mia” madre. Quell’aggettivo possessivo “mia” viene ripetuto più volte dalla voce registrata di Ricci, con un’inflessione timbrica vocale perturbante in cui è facile identificarsi.
Il racconto assume le sembianze di un thriller, di un giallo, sembra che qualcosa di strano debba accadere da un momento all’altro. Frammenti di tempi trascorsi con la madre, immagini messe a fuoco dalla parola al live painting proiettato nell'hic et nunc della rappresentazione sullo sfondo.
Quei disegni isolano pensieri in immagini parlanti, in impressioni immaginate, in colori, in ferite di tempera fresca che si espande. L’odore di incenso si diffonde nella sala sin dall’inizio, così il senso dell’olfatto viene sedotto, unendosi a quello della vista e dell’udito come a voler creare un flashback intenso e più tangibile possibile.
Prevalgono il nero, il grigio. Dettagli-quadro di ricordi: un accapatoio bianco, una sedia isolata, un campo alberato, il mortaio per pestare il peperoncino, la manualità di una madre indaffarata e che si fa in quattro per dare il massimo in qualsiasi momento.
Uno spettacolo toccante, fuori dall’ordinario, rischioso perchè si spinge sulle soglie di un’autoreferenzialità dichiarata e non necessariamente interessante per tutti a livello tematico, ma di forte impatto emotivo e di grande valore artistico, in grado di suscitare la curiosità e la voglia di saperne di più, di spingersi oltre, scavare più giù: approfondire sul lavoro che c’è dietro e sulla storia stessa.
Del resto disegnare per Stefano Ricci "è come lasciarsi cadere, ‘più giù’, con la musica di Giacomo”.