Una platea oltremodo calorosa ha accolto l’ultima (per il momento) replica di Promenade de Santé, a poche ore dall'annuncio del Presidente Conte della nuova chiusura dei Teatri. Uno spettacolo di Giuseppe Piccioni, con protagonisti Filippo Timi e Lucia Mascino.
Il preambolo al Franco Parenti
“Salve a tutti, sono Andrée Ruth Shammah, ho 72 anni, sono malata di polmoni e in nessun posto mi sento tranquilla come a teatro”. Queste sono state le parole con cui ha esordito la direttrice del teatro Franco Parenti di Milano, con un cappello in testa, un microfono in mano e, nella voce, tutta l’urgenza di condividere con il pubblico riflessioni e timori in merito all’ultimo DPCM che prevede, tra le altre cose, la chiusura di cinema e teatri.
Il suo intervento ha voluto porre l’accento sull’importanza della funzione pubblica svolta dal teatro nel nostro Paese. “Il governo ci ha garantito che riceveremo degli indennizzi, ma non sono le riparazioni economiche che chiediamo più a gran voce – ha chiosato con enfasi – bensì la restituzione del nostro ruolo e della nostra dignità”.
Complessità e amore
La drammaturgia delle pièce deriva dalla penna di Nicolas Bedos, famoso attore e registra francese (è suo il film di successo La belle époque). Piccioni ha scelto questo testo per molti motivi. Innanzitutto, per la sua complessità intrinseca, che lo rende aperto a tante e diverse chiavi di lettura e interpretazioni. In secondo luogo è stato il tema a convincerlo. La commedia si dipana attorno all’amore, con le sue mille difficoltà e gli altrettanti benefici che apporta.
L’affiatamento artistico Timi-Mascino vince su tutto
A indicare che l’ambientazione è un grande giardino, sul palco spicca una scenografia piuttosto semplice: due panchine, un finto lampione e alle spalle degli attori un megaschermo che proietta, a tratti, immagini di alberi e sentieri. Più precisamente si tratta, come si scopre fin dalle prime battute, del parco di una clinica psichiatrica e i due protagonisti (Filippo Timi e Lucia Mascino) non sono altro che ospiti lì ricoverati.
I dialoghi tra i due – che testimoniano un realismo senza peli sulla lingua – affrontano questioni particolarmente intime che vanno dai sogni professionali, andati in fumo e ancora vagheggiati, ai desideri erotici, sbrigliati o repressi che siano. I primi sembrano così potenti da ridurre la coppia di “malati” a precludersi ogni possibilità di stare insieme nel mondo là fuori, oltre la recinzione dell’ospedale.
“Noi qui fuori saremmo patetici”, ammette con fermezza il personaggio interpretato da Timi a una sconcertata Mascino, in una fresca mattinata estiva in cui entrambi, dimessi dal ricovero, siedono al tavolino di un bar. Viene dato spazio pertanto a un messaggio di oggi, tra i più pressanti: l’esigenza e la necessità di essere qualcuno per gli altri; per molti, possibilmente. Di essere riconosciuti e apprezzati in qualunque modo. È, forse, uno dei dialoghi meglio riusciti, per quanto riguarda la profondità del testo e il suo nesso con l’attualità.
Peccato che – e questa è l’unica scelta discutibile, da parte della regia – l’intera scena venga proiettata sullo schermo, già fatta e confezionata davanti alla macchina da presa, e non agita sul palcoscenico dal vivo. Per qualche istante si ha così l’effetto di assistere a una proiezione cinematografica.
Complessivamente, comunque, la performance rimane godibile e tangibile risulta l’affiatamento degli artisti che – si vede! – hanno ormai più volte lavorato insieme. Una coppia ben collaudata, quindi, che non può, alla fine, che far alzare in piedi un pubblico che applaude emozionato e già, forse, un poco nostalgico.