Il mito religioso di tutti i tempi cerca di esorcizzare la paura della morte con progetti consolatori. Nella tradizione greco-romana Proserpina, figlia di Cerere e Giove, non muore completamente
Il mito religioso di tutti i tempi cerca di esorcizzare la paura della morte con progetti consolatori. Nella tradizione greco-romana Proserpina, figlia di Cerere e Giove, non muore completamente e per sempre: grazie a un patto con Plutone, dio degli inferi, periodicamente torna viva e riprende provvisoriamente il suo posto tra i mortali. Nell’opera omonima di Goethe la tradizione viene stravolta e Proserpina precipita definitivamente nel mondo dei morti, involontaria regina degli inferi. A quest’ultima versione del mito si riferisce l’opera con cui Wolfgang Rihm ha chiuso il Fast Forward Festival, rassegna del teatro musicale contemporaneo promossa dal Teatro dell’Opera di Roma.
Il palcoscenico si presenta come una camera nuziale con un monumentale letto e le numerose suppellettili coperte da un telo, come si fa con le case lasciate per le vacanze. Dai veli emergono Proserpina e le amiche, fanciulle senza volto, che la accarezzano, la lavano e ricreano con lei i giochi infantili. Ma Proserpina non riconosce il suo mondo, appaiono nuovi personaggi, le Danaidi, Issione, Tantalo, mentre una appiccicosa plastica nera comincia ad avvolgere la scena, gli oggetti e i personaggi. Proserpina cerca la madre ma trova solo una sagoma avvolta in un telo, il padre è un fantoccio inanimato, il cui torace è pieno di vischiosa materia nera. Le viene offerta una melagrana che Proserpina mangia per vincere la sete. Allora spariscono i veli, dal letto emergono le Parche, la plastica nera avvolge tutto e tutti e Proserpina rimane definitivamente avviluppata negli inferi tra le orgiastiche urla delle Danaidi, delle Parche e delle Furie.
Wolfgang Rihm, tra i più celebrati autori contemporanei, ha fatto proprio il mito di Goethe e lo ha trasformato in un melologo espressionista cucito addosso all’eroico soprano Mojca Erdmann, che tiene la scena per oltre un’ora senza pause e senza incertezze. I riferimenti e le citazioni sono numerosi, dalla tromba in scena di Petruska agli echi della Sinfonia dei Salmi, alla mozartiana Regina della Notte. Il coro femminile del Teatro dell'Opera canta nella buca dell’orchestra come uno strumento tra gli altri e contribuisce a creare le sensazioni oniriche di oppressione.
Senza sbavature la efficace regia di Valentina Carrasco coadiuvata dalle livide luci di Patrizio Maggi, mentre la scenografia di Carles Berga è direttamente ispirata alle opere di Clay Apenouvon che ha anche disegnato i costumi. La piccola orchestra del Teatro dell'Opera è stata ben diretta da Walter Kobèra.
Festeggiatissima Mojca Erdmann, applausi per tutti, compreso Wolfgang Rihm presente in sala.