Prosa
RADIO CLANDESTINA

La commovente Radio clandestina di Ascanio Celestini

Radio Clandestina
Radio Clandestina

Una grande prova di Ascanio Celestini. Radio Clandestina è un lungo e commovente racconto in prima persona attorno e attraverso l’orrore delle Fosse Ardeatine, in cui i tedeschi trucidarono trecentotrentacinque uomini.

Radio Clandestina è un lungo e commovente racconto in prima persona attorno e attraverso l’orrore delle Fosse Ardeatine, in cui i tedeschi trucidarono trecentotrentacinque uomini, “una storia che uno potrebbe raccontarla in un minuto o in una settimana”, dice Ascanio Celestini.

È una storia che comincia alla fine dell’Ottocento, quando Roma diventa capitale, e continua negli anni in cui si costruiscono le borgate, continua con la guerra in Africa e in Spagna, con le leggi razziali del 1938, con la seconda guerra, fino al bombardamento di San Lorenzo, fino all’8 settembre. È la storia dell’occupazione, che non finisce con la liberazione di Roma. È la storia degli uomini sepolti da tonnellate di terra in una cava sull’Ardeatina e delle donne che li vanno a cercare, delle mogli che lavorano negli anni ’50 e dei figli e nipoti che quella storia ancora la raccontano.

Una storia che sanno tutti, anche se è una menzogna per ammissione degli stessi tedeschi, poiché i tedeschi non avrebbero potuto cercare i responsabili della bomba in via Rasella, dato che tra l’esplosione della bomba e l’eccidio delle Fosse Ardeatine passarono soltanto poche ore.

Ascanio Celestini è un cantastorie contemporaneo e antichissimo, che ha l’unicità di essere sorgente di un fiume di parole che invade il teatro e culla gli spettatori in un mare di emozioni, un flusso verbale che affascina, avvolge e travolge lo spettatore, il quale, alla fine, si sente come un naufrago, lasciato solo su un’isola deserta.

Ironico e dolce, candido e trasognato, pietoso e partecipe, Ascanio racconta memorie private e collettive, parla restando fermo, seduto oppure in piedi, illuminato da una sola lampada, ma davanti allo spettatore, come per miracolo, si levano le immagini evocate dalle sue parole ininterrotte, dai suoi discorsi veloci e ciclici, dal suo incedere e ritornare, avanti e indietro. La sua parlata, con accenti affettuosamente romaneschi, è costituita da piccoli vezzi e anacronismi che ne accentuano il senso di fabula, che si snoda e si riannoda con circolarità, in cerchi narrativi concentrici che a mano a mano si avvicinano all’epilogo. Il suo teatro è un pugno al cuore e riesce a parlare con amore memorabile di gesti d’odio. Un teatro inteso non come rappresentazione ma come racconto. Un teatro che è testimonianza lucida degli eventi della storia e della cronaca. Un teatro fatto di una sedia, di una luce penzolante, a volte mossa con le mani, e di un uomo che racconta.

Visto il 01-02-2005
al Cecchetti di Civitanova Marche (MC)