Quanta bellezza.
Riccardo III, sovrano deforme e abietto, per la smania di diventare re mena colpi a destra e a manca, liberandosi di tutti: fratelli, moglie, amici. Perfino bambini.
Eppure Riccardo fa quasi compassione. Una tragedia nella tragedia, la sua: cerca consensi, trova freddezza. È solo, e se la ride. Forse per non piangere, ma chissà. Semina morte perché non riesce a seminare altro. E allora avanti così, fino a perdere tutto.
L’essenziale è VISIBILE agli occhi
Una tragedia che richiede almeno tre ore di messa in scena ma che l’ardimentoso Corrado d’Elia porta in scena in poco più di sessanta minuti. Un esercizio di compressione che non toglie nulla, bensì aggiunge, a riprova che less is more e che una storia, se ben raccontata, ti resta incollata addosso.“Eccomi, eccomi!”
Urla Riccardo, con una metaforica freccia puntata su di sé per attirare l’attenzione. Ma fermi tutti: Riccardo non c’è, non lo vedi mai: ne senti per tutto il tempo solo la voce, oscura e lucida regia che tutto vede e tutto dirige, monarca e protagonista assoluto pur dietro le quinte. Non si vede, eppure si vede: eccola qui la magia del teatro, quello fatto con criterio e intelligenza. Un teatro che lascia usare allo spettatore quella dote che troppo spesso ci ritroviamo ossidata: l’immaginazione.Riccardo è quello che noi vogliamo vedere, con la gobba o senza; Riccardo è folle, spietato, ma anche simpatico. È possibile? Sì, così è possibile.
Un videogame a livelli
La scena, nella miglior tradizione della Compagnia, evoca e completa un progetto visivo ricco d’ingegno: un ring di luci neon, con l’elemento d’epoca, un lampadario calato dall’alto. In questa atmosfera da videogame si muovono i personaggi, quadri velocissimi di pochi minuti riassunti a fine livello da un esito e da un punteggio. E, come nei videogame, non può mancare il finale rocambolesco, reso ancor più sincopato da luci e musica, l’altra grande protagonista di questo lavoro.
In definitiva, è evidente che Riccardo III non è per tutti. Lo è invece per d’Elia che, in un crescendo wagneriano, ci fa uscire dalla sala con la frase-certezza: “Questa è la cosa migliore che ha fatto”.
Fino alla prossima volta.