In un Teatro alla Scala ancora vuoto a causa dell’emergenza Covid è andata in scena, e trasmessa in televisione su Rai 5, Salome di Richard Strauss, diretta da Riccardo Chailly con la regia di Damiano Michieletto. Si tratta dello spettacolo che la chiusura dei teatri sospese un anno fa a pochi giorni dal previsto debutto.
Salome come Amleto
La Salome di Michieletto è una storia di violenza familiare nella quale vengono accentuate le analogie con la tragedia di Amleto. Come viene chiaramente esplicitato in un albero genealogico proiettato sul fondale, Erodiade sposa in prime nozze Erode Filippo e dalla loro unione nasce Salome. Erode Filippo è padre affettuoso e amorevole, come alcuni flashback ci mostrano, ma, come nella tragedia shakespeariana, un giorno il fratello Erode Antipa lo uccide e ne sposa la moglie, presumibilmente sua complice. Da qui inizia una serie di abusi da parte del patrigno sulla figlia adottiva come viene chiaramente esplicitato nella Danza dei sette veli.
La vicenda, di ambientazione altoborghese, si svolge in uno spazio astratto laccato di bianco e nero, al centro del quale vi è la tomba sotterranea di Erode Filippo, in cui si trova anche Jochanaan, che però in questa lettura diventa una sorta di voce dell’inconscio che, come il fantasma di Amleto padre, progressivamente rivela a Salome la verità sulle vicende passate.
Una regia intellettuale
Come è nel suo stile Michieletto, supportato dalle impattanti scene di Paolo Fantin e dagli eleganti costumi di Carla Teti opera una disamina accuratissima del libretto, costruendo una regia fortemente simbolica in cui al nero della luna e degli angeli della morte fanno da contraltare il rosso del sangue ed il bianco dell’agnello sacrificale posto su un altare di marmo su cui è scolpito il nome di Erode Filippo.
Si scopre inoltre che Salome non è oggetto solo delle attenzioni di Erode ma anche degli ospiti del patrigno, situazione che il giovane fidanzatino Narraboth non regge e che lo spinge al suicidio. La scena del bacio della testa mozzata, spesso palestra di maldestre soluzioni, è qui risolta con un’efficace citazione de L’apparizione di Gustave Moreau, da cui sgorga un rivolo di sangue, che si concluderà con lo sprofondare di Salome nella cisterna nel suggestivo finale.
Una regia intellettuale che, se da una parte offre molti spunti interessanti dall'altra tende forse a raggelare la teatralità complessiva dello spettacolo.
Orchestra dalle sonorità rigogliose
L’opera sarebbe dovuta essere diretta da Zubin Mehta che, indisposto, ha lasciato il podio al Direttore Musicale Riccardo Chailly, peraltro bacchetta originariamente prevista la scorsa stagione. Alla testa dell’Orchestra del Teatro alla Scala, situata in platea per le regole sul distanziamento, il Maestro milanese ha concertato una Salome dalle sonorità rigogliose, attingendo ad una tavolozza ricca di colori e sfumature le cui tinte tendono più allo scintillio jugendstil di un Klimt che ai violenti contrasti espressionisti di uno Schiele. Va comunque sottolineato che un ascolto televisivo consente un giudizio solamente parziale rispetto a quanto si potrebbe cogliere dal vivo. Discorso analogo vale per i cantanti che sono comunque sembrati convincenti e in parte.
Elena Stikhina vanta un timbro pieno e corposo, soprattutto nel registro acuto e ben si immedesima in una Salome adolescente, come peraltro prescriverebbe il libretto e come la regia, giustamente, accentua. Gherhard Siegel è un Herodes vocalmente incisivo, viscido ma mai caricaturale, mentre Linda Watson interpreta un’Herodias signorile di grande fascino dal timbro sontuoso. Wolfgang Koch è uno Jochanaan imponente sia vocalmente che scenicamente, cui si contrappone il valido Narraboth di Attilio Glaser.