Se già aveva pienamente convinto in occasione del suo debutto televisivo nel 2021, durante la chiusura dei teatri causa pandemia, la Salome di Richard Strauss nell’allestimento realizzato da Damiano Michieletto per il Teatro alla Scala in occasione della sua ripresa in presenza del pubblico si conferma come uno degli spettacoli più interessanti tra quelli ultimamente prodotti dal teatro milanese.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Una regia di grande potenza visiva
Scavando nel testo originale di Oscar Wilde, cui si ispira il libretto di Hedwig Lachmann, Michieletto rivela al pubblico la tragedia famigliare di cui Salome è stata protagonista da cui nascono il disagio e la violenza repressa che la porteranno alla richiesta estrema della testa di Giovanni Battista.
Come nella storia di Amleto, Salome ha un padre amorevole, Erode Filippo, che viene ucciso dal fratello Erode Antipa e dalla moglie Erodiade, che in seconde nozze sposerà il cognato. Da lì inizia una serie di attenzioni morbose, quando non abusi, da parte dello zio ma anche dei suoi amici, come viene chiaramente esplicitato nell’inquietante danza dei sette veli.
La voce di Jochanaan, che proviene dallo stesso pozzo in cui era stato gettato Erode Filippo, diventa per Salome una sorta di voce dell’inconscio che rievoca in lei ricordi che coincidono con dei flashback che vengono rappresentati sulla scena, per questo il profeta diventa una sorta di doppio del padre scomparso.
Una regia intellettuale, ricca di simboli -è solo una coincidenza che nel finale un angelo della morte rovesci una coppa di sangue sul collo di Salome sdraiata a terra rimandando idealmente alle gocce di giusquiamo nell’orecchio con cui fu avvelenato nel sonno Amleto padre?- ma perfettamente coerente e di grande potenza visiva. Il merito di questo successo va condiviso con lo scenografo Paolo Fantin che, ha creato un impianto scenico di grande potenza visiva.
Se infatti il regietheater di stampo tedesco spesso affianca a delle regie intellettualmente molto stimolanti delle scenografie anonime, quando non malinconiche o addirittura punitive, l’ottimo Fantin, forte della grande tradizione italiana che dal punto di vista estetico non ha eguali, riesce sempre a tradurre in immagini incisive ed emotivamente impattanti le originali intuizioni di Michieletto contribuendo a formare un team di successo che si completa con gli efficaci costumi firmati da Carla Teti.
Cast eccellente con qualche riserva sulla direzione
Nel ruolo del titolo Vida Miknevičiūté, al suo debutto scaligero, è stata protagonista di un’interpretazione maiuscola, grazie ad un timbro ricchissimo di colori e sfumature ed un registro acuto impeccabile. Il soprano lituano ha reso perfettamente la complessità del personaggio grazie ad una recitazione intensa e ad una fisicità magnetica di cui ha dato prova nella danza dei sette veli.
Al suo fianco Michael Volle è stato un Jochanaan carismatico, dalla vocalità piena e corposa, incisivo nelle sue requisitorie e dalla grande presenza scenica. L’Herodes di Wolfgang Ablinger-Sperrhacke è cresciuto in corso di rappresentazione. Se infatti nelle battute iniziali ha dato l’impressione di qualche difficoltà nel superare il muro orchestrale, nel prosieguo la voce ha acquistato in spessore ed anche l’interpretazione è risultata estremamente credibile.
Linda Watson ha dato corpo e voce ad una Herodias in cui si fondevano aristocrazia e decadenza, mentre pregevoli sono state le prove di Sebastian Kohlepp (Narraboth) e Lioba Braun (Il paggio).
Alla testa dei complessi scaligeri Michael Guttler ha optato per una direzione chiaroscurata, caratterizzata da forti contrasti e dalla marcata componente drammatica. Una scelta questa che oltre a livellare le dinamiche ha mantenuto l’orchestra su un volume sempre alto, a volte a discapito dei cantanti.
Al termine un teatro quasi esaurito ha tributato consensi unanimi a tutto il cast riservando alla Miknevičiūté ovazioni entusiaste.