Prosa
SCENE DA UN MATRIMONIO

Quello che le coppie (non) si dicono.

Quello che le coppie (non) si dicono.

Sono  lontani i tempi in cui Ingmar Bergman scriveva la tragicommedia della medio borghesia svedese, legato alla necessità della serialità televisiva e al bisogno di esternare le proprie frustrazioni e i propri problemi di coppia ( con la moglie Liv Ullman ) trasportandoli nella finzione di una storia di non-amore, o dell’apparente amore, nel 1971. Problemi legati all’annullamento della persona, alla priorità del lavoro rispetto alla famiglia, surclassata ma al tempo stesso presente nell’invadenza dei parenti-serpenti.
Eppure, aggiornando quelle vicende ai nostri tempi e agli anni duemila, poco cambia.
Stesse problematiche, stessi modelli di umanità. Scene da un matrimonio, appunto. Non di una vita felice con le persone che ami.

E la differenza non è sottile: scene come quelle di una sceneggiatura, ben scritta e assai rigida, che è difficile da abbandonare, essendo divenuta l’abito che gli attori, i protagonisti e membri della coppia portano addosso.
La struttura dello spettacolo, per l’adattamento teatrale di Alessandro D’Alatri, è proprio quella di uno script, con le scene ben distinte e numerate per spazio e luogo: questi ultimi poco influenti, sembrerebbe, statici e amorfi, perché divenuti tanto apatici quanto le persone che vi abitano; permeati da un bianco totale e squarciati quasi letteralmente dai colori che provengono dall’esterno o dalle emozioni manifeste dei personaggi.
Federica di Martino veste i panni di Marianna, moglie e mamma, assistente in uno studio legale che si occupa di divorzi, e, per la pena del contrappasso,  finge una idilliaca situazione coniugale rinnegando ogni problema e forse anche il proprio es; Daniele Pecci invece è Giovanni, figura egoista ed egocentrica per eccellenza, l’uomo tutto di un pezzo che parte ( e torna) dal bisogno di soddisfazione del suo io, dimenticandosi persino della presenza ( assenza in questo caso, non appaiono mai sulla scena) dei propri figli e del rispetto per la moglie. Ma si presentano come la coppia perfetta, che non ha difficoltà ad andare avanti dopo anni: i due si vantano di non aver mai litigato, sono insomma una coppia che ( pretende di ) sa capire e capirsi.

Non è semplice rendere una tematica tanto importante quanto “usurata” nel panorama italiano ( al cinema è uno dei temi prediletti dagli autori nostrani) senza cadere nel banale e nel già visto, ma qui, sulla scena e di fronte ad essa, sembra avvenire una sorta di interiorizzazione della storia, l’empatia tra pubblico e spettacolo è immediata, forse perché i caratteri non sono caricaturali o macchiettistici ( altro rischio dell’adattamento) ma risultano credibili, e, per quanto esista la quarta parete, veri.
Qua e là c’è tempo e spazio per brevi risate, se pur amare, che creano quel clima di familiarità con qualcosa che forse ci ha sfiorato, o abbiamo vissuto, o addirittura stiamo vivendo.
Va detto che la seconda parte del racconto rischia di (s)cadere nel melodramma squisitamente italiano della tragedia lacrimevole, con lo split-up completo della coppia, che ha preso finalmente coscienza della propria inadeguatezza e delle reciproche frustrazioni, ma riesce a non “darsi troppa importanza” declinando il dramma con un happy ending agrodolce.
 

Visto il 03-12-2011
al San Girolamo di Lucca (LU)