Senza dubbio Sconcerto, novità assoluta per voce e orchestra realizzata da Toni e Peppe Servillo, pone diversi e non vani interrogativi; ecco perché quel che segue è un commento atipico – ma anche l'unico possibile – dopo aver assistito allo spettacolo.
Può la sola bravura di un attore, in estatico ed estetico compiacimento della propria voce e del suono che ne segue, del proprio gesto e del sopracciglio che s'inarca come un poema muto tra le pieghe di sottintese mire, soverchiare a tal punto la pur necessaria architettura della messinscena, azzerandone senso e prospettiva in un atto di illimitata presunzione? Può la forza evocativa e decisamente suggestiva della nobile orchestra del Teatro di San Carlo, i cui musicisti s'accordano con chiara perfezione al sentimento e all'armonia che muove la voce profonda ed autorevole del divo, soverchiare a tal segno la mescola retorica di un testo banalissimo e riscattarne la verificabile medietà drammaturgica, poetica e letteraria?
Certo, il colpo d'occhio è notevole: ti guardi intorno o alzi gli occhi verso i palchi dello Stabile, semideserti in altre preziosissime circostanze, ed intercetti tutto un brulicare di persone attente, rapite e appassionate, un raro pubblico – crediamo – cinetelevisivo e colto al tempo stesso ché il mattatore è certo un astro che brilla come pochi nella volta, a volte opaca, del cinema e del teatro nazionale; ma occorre, dunque, che ci sia la star, la star soltanto, per fare di un'operazione così debole e modesta, un grande evento e un gran successo? Perfino ci emozioniamo per qualche istante, allorché il Nostro attore si abbandona a una tirata più autentica, anche se breve, davvero troppo breve, contro la simil-classe dirigente che tra smanie futuriste e sgangherate amenità, guida il Paese e si autocomplimenta, cinque minuti in cui Servillo punta la voce – il rasoio – alla giugulare di questo nostro infantilito e vergognoso presente/pantano in cui affoghiamo, ma il colpo di rasoio non fa lo sfregio, si ferma al graffio senza finir l'affondo, è particola che presto sfuma nell'indistinto e vìeto oceano eufonico del verso "che suona ma non crea".
Prenderemmo, infine, in prestito alcune parole pronunciate con ieratica nettezza dai bravissimi fratelli Servillo, Peppe temporaneamente in supporto allo show del fratello celebre attore, e le rivolgeremmo, certo provocatoriamente, contro la congettura stessa che muove questa innocua ed inutile grande produzione: a quale prezzo – a quale – siamo diventati tutti commedianti, commedianti in questa sbobba inacidita che si chiama vita?