Tratto dal libro Un uomo solo (A Single Man) di Christopher Isherwood (portato poi al cinema da Tom Ford – sì, lo stilista – con Colin Firth come protagonista), la storia racconta la vita di George, gay di mezza età che insegna letteratura in un college americano negli anni ’60. Una vita ordinaria che ci porta alla mente in qualche modo Stoner, ma con il risvolto dell’amore omossessuale, quello maturo, completo, di lunga durata.
Poi succede che la vita di George prenda, di colpo, una piega inaspettata. L’uomo si deve armare per l’impatto con il dramma: Jim, il suo compagno, muore in un incidente stradale. Ne deriva lo sconforto di chi è solo e di chi deve affrontare, ora dopo ora, un dolore che toglie il respiro.
Non si muore per amore… o sì?
George a vivere ci prova, ma i rimpianti sono tanti. Si ancora al quotidiano con appigli banali, fino a meditare con dovizia di particolari l’estremo tentativo di venirne fuori: spegnere la luce, clic, e spararsi. Una storia che immaginata nelle vite di ciascuno spezza il cuore, ma che tuttavia sul palco manca di mordente. L’adattamento teatrale di Pasquale Marrazzo (che nasce come regista cinematografico) soffre soprattutto nella prima parte una certa ansia da debutto (lo spettacolo è in prima nazionale) e risente della mancanza degli artifizi da cineasta – che sul palco non è affatto un male.
Isherwood, un duro banco di prova
Narrativamente discontinuo, lo spettacolo arranca sotto i colpi di tempi piuttosto lenti, che riprendono in parte vigore grazie a una colonna sonora incisiva e struggente.
Alessandro Mor e Alessandro Quattro - che pur hanno lavorato insieme parecchio (molto felice fu il loro Bruto) - qui sembrano andare con il freno a mano tirato, forse affaticati da una regia a tratti poco compatta. Molto più efficace Rossana Gay nel ruolo di Charly, l’amica di sempre con cui George condivide solitudine e delusioni, figura di contorno che in realtà di contorno non è.
A ridar speranza al futuro di questa pièce è qualche buon guizzo nel finale, che si concretizza in un climax emotivo di livello.
Lo spettacolo ha un potenziale accattivante, da rimodellare con opportune riflessioni. Dunque solo una serata storta? Con il beneficio del dubbio, per ora si esce dalla sala con un’amara sensazione di incompiuto.