E' nato per il teatro, Filippo Timi. Perchè se è vero che il teatro è specchio del mondo, lui il suo mondo ce lo mette tutto.
E' nato per il teatro, Filippo Timi. Perchè se è vero che il teatro è specchio del mondo, lui il suo mondo ce lo mette tutto. Attinge, senza alcun imbarazzo, dalla sua vita di complessi: l'obesità (smaltita), la semi-cecità (effettiva) e la balbuzie (ma solo quando non recita). E finalizza lo spettacolo Skianto con la storia di una cugina disabile, creando un monologo di un bimbo nato con la scatola cranica sigillata. Tutte le parole che non possono uscire dalla bocca, escono però dal cuore, in un dialogo col pubblico di un'intimità sconvolgente.
Protagonista è il sentire di chi è vivo come tutti gli altri, ma imprigionato in una malattia che comunque dagli altri lo rende diverso, che nega la libertà di dire, fare, interagire. Il dolore di avere limiti si “skianta” quindi in un flusso impetuoso di pensieri, alternative al verbale che confluiscono in un’unica grande certezza: la voglia di vivere.
“Sembra normale, ma è speciale”, dice la mamma di questo invisibile piccolo (o grande) chiacchierone che Timi, estimatore della lingua del vulgus per amor di realtà, porta in scena con le tante sfumature del suo amato dialetto umbro.
Dalla volgarità alla delicatezza
Skianto è però un ossimoro, dove anche i momenti di volgarità si addolciscono in lampi di straordinaria delicatezza, dove il carico da undici ce lo mette la fata di Pinocchio, a cui l’attore fa appello per avere una possibilità di vivere “almeno come un burattino”.
Le bizzarrie del Timi-style - già apprezzate nel Don Giovanni- si ritrovano anche qui: il travestimento da cavallo rosa e da Freddie Mercury, l’episodio-clou di Candy Candy e i video tratti da YouTube, totalmente decontestualizzati ma, chissà perchè, con lui hanno sempre un senso. Formidabile l'accompagnamento musicale di Andrea di Donna, che tiene il tempo e arricchisce uno spettacolo di una luminosità che altrove, raramente, si riesce a scovare.