Teatro intimista, teatro totale, teatro sperimentale. Così definiremmo, partendo dall’attributo più specialistico per giungere al più generalista e comprensibile, Slava’s SnowShow, lo spettacolo di Slava Polunin.
Di contro potremmo definirlo anche semplicemente lo spettacolo di un clown, del migliore al mondo. Avete letto in poche righe la verità più profonda dell’opera che ieri sera ha ammaliato il pubblico padovano dopo aver coinvolto in 14 anni 4 milioni di persone: si perchè l’essenza dello spettacolo non è definibile altrimenti se non come un’armonia dei contrasti, quindi complementari.
Mentre si ride si viene coinvolti nella passione onirica di un mondo più vicino all’arte pittorica kandiskyana che all’arte del circo. Mentre l’intelletto si crogiola nella perfezione di una regia che nulla mette in scena (o tra il pubblico) di superfluo e che riesce a far apparire il caos in una sensazione di necessaria armonia; all'improvviso il corpo viene preso da forte sobbalzo nell’accorgersi che gli stanno rubando un’indumento.
La neve, leit motiv dello spettacolo, risulta l’unico appiglio per un pubblico che non si fa distrarre dal mondo del “qui e ora” in balia alle improvvise e imprevedibili vicende. Chi invece si è lasciato distrarre o farà in modo che tali azioni prendano su di lui il sopravvento, è riuscito, o riuscirà, ad abbandonare la brutta necessità del nostro mondo per abbracciarne un’altra, fatta di sogno. La neve per questi distratti intelletti sembra quasi sparire dallo spettacolo perchè quello che Slava Polunin stesso dichiara su di essa, ovvero: “la neve è per me un’immagine bellissima, come un abito da sposa, come un foglio bianco quando un pittore comincia a disegnare. Ma mi riempie anche di paura e di orrore, di freddo e di morte”, diventa la vertià dell’intera opera.