All’inizio fu la magia. Dallo schermo in bianco e nero di un vecchio televisore a transistor Silvan era impegnato nella prestidigitazione; poi si sono susseguiti gli occhi magnetici di Mandrake, i giochi pericolosi di Houdini e una carrellata di illusionisti. Un mondo prodigioso e affascinante, fuoriuscito dalla casa dove alloggiavano i pensieri di un bimbo diventato grande.
Lo spirito e il cuore di Arturo Brachetti incarnano il mito del forever young, di Peter Pan, mentre la sua arte non conosce tregua nel processo di crescita. C’era molto di autobiografico nello spettacolo Solo, che ha visto lo showman interloquire con una telecamera (assistente in scena il bravo Kevin Michael Moore) intenta a frugare all’interno di una casa delle bambole (Matteo Piedi, Zero Studio) senza ubicazione, fuori del tempo. Un modellino i cui anfratti sono stati proiettati sul fondale: l’ottica è stata capovolta, l’interno si è tramutato in esterno rendendo visibili i sogni dell’eterno fanciullo, la sua fusione mentale tra realtà e immaginario.
Il “World Master of quick change” ha interagito con la scenografia (Rinaldo Rinaldi) entrando e uscendo dall’ambiente filmato (video artist e visual design Riccardo Antonino, con gli studenti del Politecnico di Torino) facendo zapping tra personaggi veri e surreali. Brachetti non fa arte: egli è la propria arte, che incarna nell’atto stesso del darle la vita. La fantasmagoria dei travestimenti fulminei, funambolici conferma la maestria ideativa e realizzativa che, ancora una volta, lascia stupefatti, anche per la molteplicità delle tecniche padroneggiate.
Eccentriche star della canzone, un bestiario frutto dell’antica tradizione delle ombre cinesi, eroi ed eroine delle fiabe immersi in video dal candore naif, hanno dialogato con tipi, caratteri, maschere di rediviva commedia dell’arte oppure presentanti la genuinità della commedia all’italiana, comunque sempre capaci di dipingere uno spaccato della nostra epoca. Un interprete camaleontico era ciò che il pubblico si aspettava e non è stato deluso, benché le interazioni con gli spettatori siano risultate superflue, disturbanti l’incantesimo sprigionato dal palcoscenico.
Attingendo alle radici e innestandovi del nuovo, lo spettacolo, lentamente, in modo quasi subliminale, ha preso una direzione nuova, proiettata in avanti a iniziare dalla personificazione delle quattro stagioni, con dotte citazioni musicali (peccato per il volume elevato, ndr) e pittoriche, reinterpretate con originalità. Nell’ultima mezz’ora, il deciso cambio di rotta verso l’impalpabilità della poesia, guidati dall’evanescenza della luce.
Si è scoperto che la stanza segreta della casa conteneva il nulla, ossia un universo dove i pensieri volavano e si rincorrevano con la foga di un turbine, simile a quello che sospinse Dorothy nel magico mondo di Oz. Il tornado ha avvolto nei mulinelli gli oggetti domestici, compendio del racconto scenico che così è stato catapultato nell’astrattezza dell’infinito. Bellissimi, duttili fasci laser, giostrando, hanno cinto il protagonista di blu e l’antagonista di rosso, come un’unica personalità dicotomica impossibilitata a scindersi. Rappresentazione della due metà che compongono l’essere umano: il raziocinio e la fantasia. Quest’ultima ha trasportato Brachetti in alto a sfiorare le stelle, piovute a pioggia sulle sue braccia fino a compenetrarle, rendendo luminosa la sua essenza interiore e, al termine del processo di formazione planetaria, materializzarlo nuovamente sulla terra, in una manciata di sabbia che le onniscienti mani hanno plasmato su una lavagna luminosa a proiezione.
Lo storyboard di rena è scorso partendo nuovamente dalla casa per poi tratteggiare il viso, munito d’inconfondibile ciuffo, del viaggiatore pindarico. Per lui, trasformista per antonomasia, il mondo, le persone, le cose sono viste in continuo divenire, in una sequenza randomizzata di dissolvimento e rinascita.
Nella locandina la testa di Brachetti si scoperchia e ne esce un altro Brachetti. Una matrioska i cui pensieri sono in grado di replicarsi nel percorso di riscoperta della fantasia, elemento instabile, simbolico come una manciata di polvere che, con un semplice soffio, può assumere nuova forma oppure cancellarsi per sempre. Un Mandala laico che rappresenta il cosmo dell’artista e quella capacità di sognare che tutti dovremmo imparare a custodire come un tesoro, dando valore alla preziosità dell’effimero.