Civitanova Marche (MC), teatro Annibal Caro, “Sonate Bach – di fronte al dolore degli altri” coreografia di Virgilio Sieni
IMPIETRITI DI FRONTE AL DOLORE DEGLI ALTRI
Ci si trova di fronte al dolore degli altri in questo capolavoro di Virgilio Sieni.
Una dopo l'altra si susseguono undici coreografie che ricordano altrettanti tragici avvenimenti accaduti in conflitti recenti, ballate create sugli undici movimenti che compongono le sonate di Bach per pianoforte e viola da gamba, eseguite dal vivo da Diego Maccagnola e Johanna Rose.
Nella dominante penombra, sullo sfondo nero si stagliano le scritte, come fossero dediche ad memoriam: Jenin, 3-11 aprile 2002; Sarajevo, 5 febbraio 1994; Kabul, 5 marzo 2007; Tel Aviv, 1 giugno 2001; Srebrenica, 11 luglio 1995; Istanbul, 15 novembre 2003; Gaza, 6 luglio 2006; Beslan 1-3 settembre 2004; Baghdad, 20 marzo 2003; Benthala, 23 settembre 1997; Kigali, 7 aprile 1994. Le immagini di storia contemporanea scorrono nella mente, evocate dalla bellezza e dall'eticità di gesti asciutti e rigorosi, essenziali. Si richiama l'attenzione su quelle date, su quegli accadimenti, con la concretezza, la leggerezza e al tempo stesso la drammaticità di una danza che descrive perfettamente macerie di uomini e case, anche per merito degli interpreti: Simona Bertozzi, Ramona Caia, Massimiliano Baranchini, Pierangelo Preziosa.
Mentre in “Tregua – intorno ai corpi” l'immagine era “unica” (la veglia funebre di tre donne intorno al corpo di Risimi Elsnani, ucciso durante una manifestazione per l'indipendenza del Kosovo nel lontano 1990), qui siamo di fronte a una via crucis dell'orrore in undici stazioni, ritratto lucido di un inferno quotidiano in cui l'uomo è contro l'uomo: palestinesi e israeliani, musulmani e cristiani, bambini e adulti, donne e uomini. Soprusi e lutti.
Lo sguardo del coreografo possiede una pietà infinita e una possente dolcezza nel narrare le salme sorrette a fatica, gli intrecci di arti avviluppati, i corpi contorti e straziati, i volti feriti. Vite martoriate ormai estranee alla vita. Mani che penzolano inermi. La disperazione di una mamma. Il panico, lo svenimento. I soccorsi. Schiene nude che si offrono al martirio. Un uomo che cammina sulle ginocchia, le gambe saltate via per una mina. Risate convulse, isteriche, di reazione. Lo strazio della guerra, di chi la subisce. Istantanee di cronaca di una efficacia mai vista prima. I movimenti si fanno echi interiori, le mani anelano l'infinito. O magari chiedono solo di vivere la propria vita. In pace.
In mezzo a tutto ciò lasciano affranti anche i primi piani dei “cani di Sarajevo”, filmati da Adriano Sofri sullo sfondo di una città grigia e umida di macerie. Cani ossuti, impauriti, affamati, curiosi indifferenti. Cani che rovistano tra le immondizie, annusano la neve, si muovono tra la gente, trotterellano incontro alla telecamera con le orecchie basse.
E alla fine, due corpi distesi a terra, sepolti sotto grandi carte geografiche di territori violati da stragi, genocidi, guerre. E alla fine ci si sente smarriti. Si resta impietriti “di fronte al dolore degli altri” perchè lascia nell'anima un dolore atroce. Uno spettacolo di una bellezza inaudita. Uno spettacolo sconvolgente.
Visto a Civitanova Marche (MC), teatro Annibal Caro, il 23 febbraio 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Diego Fabbri
di Forlì
(FC)