“Fra le mie cose che non girano (…) ve ne sono due che vorrei non dimenticate, sono Stiffelio e Battaglia di Legnano”, scriveva Verdi nel 1854. Auspicio disatteso, poiché solo nel dicembre 1968 al Regio di Parma Stiffelio risuscitava da un lungo oblio grazie alla bacchetta di Peter Maag.
Sino ad allora, giudicando perduto l'originale, avevamo solo il successivo rifacimento riminese dell'Aroldo: ma già la riapparizione nel 1966-67 di vario materiale d'epoca permise invece di stabilire molte diversità di forma, carattere, e in parte di musica, tra le due versioni, portando ad una prima ricostruzione. Due decenni dopo l'inaspettato ritrovamento in Villa Verdi di Sant'Agata della partitura autografa permise l'edizione critica Ricordi 2003, portando alla rivalutazione d'una partitura di notevole valenza musicale che per la prima volta vediamo in scena al Teatro Filarmonico di Verona.
Una partitura con molti aspetti interessanti
Colorita ed spigliata la Sinfonia; parco l'uso dei cori con interventi che cadono sempre a proposito; come parco è l'impiego di agilità vocali, a favore d'un cantare introspettivo, teneramente espressivo, e commovente. Un procedere di grande finezza, pertinente ad un soggetto in bilico fra sentimento e religione: non a caso, dopo la prima triestina del 1850, un critico locale dopo averne apprezzato “i canti dolci ed affettuosi”, osservava compiaciuto che Verdi vi “raggiunge i più palpitanti effetti drammatici, senza far uso di bande, cori e sforzi sovrumani di ugola e di polmoni”. Alle corte: in Stiffelio, opera drammaturgicamente compatta, musicalmente pregevole, le gemme musicali non son certo poche.
Spiluccando, sono ad esempio l'ingresso di Stiffelio, con una cullante barcarola; il mirabile sestetto «Colla cenere disperso» del I atto, dall'intensa intonazione mistica; il recitativo ed aria di Lina «Ah! Dagli scanni eterei», con l'orchestra impegnata a creare una melanconica dimensione; il concitato, serrato confronto tra padre inquisitore e figlia sulla difensiva. La dolente aria di Stankar «Lina, pensai che un angelo» e la fantasiosa cabaletta che segue, sono fra le cose migliori del Nostro; e in verità Massimo Mila aveva già definito tempo prima il febbrile duetto tra i due coniugi, collocato nel III atto, "dieci minuti di oro musicale purissimo".
L'evoluzione creativa di Verdi
E' un melodramma di rilevante valore, nell'evoluzione creativa che da Luisa Miller sfocerà in Rigoletto e Traviata; poggiata su un soggetto inconsueto – plot che in effetti creò qualche sconcerto nel pubblico, e inevitabili grane con la censura – con minimi accadimenti perché tutta giocata sui sentimenti interiori dei protagonisti. Al centro, il doloroso travaglio psicologico del protagonista, conteso tra missione evangelica e rovelli di gelosia. Ministro di Dio amatissimo dai suoi fedeli, assai meno dalla moglie Lina che in sua assenza si abbandona fra braccia del giovane Raffaello. Possiamo anche capirla, trova una compagnia più attraente del maturo e compassato consorte.
Un allestimento di dodici anni fa
Al Filarmonico ritroviamo il sobrio e convincente allestimento del Regio di Parma 2012, in cui il regista Guy Montavon e Francesco Calagnini, quale scenografo e costumista, propongono un'ambientazione diversa dalla congrega assasveriana (mai esistita) ma perfettamente calzante: una comunità Amish - teocratica sino al fanatismo, chiusa agli influssi esterni – dove tutti vestono allo stesso modo, solo di nero; spicca così il rosso abito del seduttore Raffaele, una specie di alieno.
Alte pareti incombono sui personaggi, modesti sepolcri riempiono il cimitero, nella chiesa un organo è attorniato da grandi Bibbie spalancate, una ancor più grande fa da pulpito a Stiffelio. Ed al monito “Quegli di voi che non peccò, la prima pietra scagli”, scendono dall’alto grossi sassi appesi ad una corda. A conti fatti, scelte persuasive; e la musica viene assecondata da una recitazione semplice e credibile, che concentra lo svolgersi del dramma su pochi tratti essenziali.
Un'opera ricca di sperimentazioni
Stiffelio, si badi, è partitura indubbiamente stimolante, ricca di sperimentazioni espressive, sia nel procedere del canto che nella ricercata strumentazione. Nel dirigerla il giovane Leonardo Sini organizza bene i singoli episodi, concerta con coscienziosità, e infonde all'insieme le atmosfere sempre pertinenti, focalizzandosi sul senso di religiosità che la pervade. Perfetti gli accompagnamenti, efficace l'intesa con gli interpreti, curati con buona precisione i dettagli strumentali: là dove l'Orchestra areniana l'asseconda molto bene, come fa pure il buon Coro scaligero preparato da Roberto Gabbiani.
Stefano Secco rende tutto il travaglio psicologico del maturo ministro evangelico, mostrandocelo immerso in una assorta pateticità, mentre la voce si accende e vola facile nello squillo, mantenendo sempre una lucida chiarezza timbrica. Daniela Schillaci non è messa in difficoltà dall'impegnativa tessitura sopranile di Lina, che supera agevolmente; ma la sua voce ha nell'insieme un che di asprigno che non ci attrae.
Superba presenza è il sanguigno e roccioso Stankar di Vladimir Stoyanov, che nelle figure paterne pare trovare le sue corde migliori. Gabriele Sagona rende bene l'occhiuta ed austera figura di Jorg; Carlo Raffaelli si disimpegna bene nei panni di Raffaello; Francesco Pittari è un'impeccabile Federico; molto bene Sara Rossini quale Dorotea. Nell'altra compagnia Luciano Ganci impersonava Stiffelio, Caterina Marchesini Lina.