Prosa
SULLA MORTE SENZA ESAGERARE

Prendersi gioco della morte si può

Prendersi gioco della morte si può

Lo spettacolo ideato e diretto da Riccardo Pippa prende spunto da una delle poesie più conosciute di  Wisława Szymborska, Sulla morte senza esagerare. I suoi versi proiettati sullo schermo scandiscono il   lavoro sulla scena e ne costituiscono il filo conduttore, cogliendo in pieno lo spirito della poesia, che si   prende gioco della morte con la leggerezza e l’ironia tipica della poetessa polacca, capace di capovolgere la prospettiva con cui ci confrontiamo con essa ogni giorno. 

La scelta di far muovere sulla scena gli attori, indossando delle maschere di cartapesta, volutamente   deformate come in certe opere di Otto Dix, senza poter parlare, favorisce una certa dimensione onirica, e crea quell’ulteriore distacco che ci permette di osservare quanto accade senza essere troppo coinvolti da sentimenti ed emozioni. Di qui, il senso di leggerezza, decisamente liberatorio, con il quale si assiste alle maldestre manovre della Morte.


La scena è spoglia. Una panchina e un lampione che ogni volta scandisce, sfrigolando, l’arrivo di un morituro. La morte è pronta ad accogliere a braccia aperte il nuovo cliente ma le cose non vanno quasi mai per il verso giusto. Il suicida, che ha già la corda al collo, ci ripensa. Il giovane, vittima di un incidente stradale, viene riportato in vita da un defibrillatore. 

Della coppia di vecchi, solo l’uomo si lascia andare tra le braccia della Morte, la quale gli toglie la maschera, liberandolo e lasciando che se ne vada nell’aldilà; un aldilà che Lei non vedrà mai. E così capita alla ragazza drogata, alla donna incinta che lotta con la creatura che dentro di lei vuole vivere. 


Insomma, la Morte si rende conto che non può gestire nel modo migliore il suo lavoro. E’ incapace di comprendere i meccanismi della vita che gli appaiono assurdi. E’ ormai logora come il suo golf pieno di buchi. Gli sfuggono potenziali clienti e ne arrivano di imprevisti. E giunge anche il momento, anticipato dall’angelo, che è una specie di ispettore che controlla il suo lavoro, del licenziamento. E’ pronto il sostituto ma anche per lui le cose non saranno per nulla facili. A conferma di questo, riappare per l’ennesima volta in scena l’uomo con la corda al collo, eterno indeciso. 

I cinque attori in scena Claudia Caldarano, Giovanni Longhin, Andrea Panigatti, Sandro Pivotti, Matteo Vitanza, dietro le rispettive maschere, realizzate da Ilaria Ariemme, si muovono cercando nell’essenzialità dei gesti, nella stilizzazione dei movimenti e nella posizione nello spazio la comunicazione più semplice, sfrondata di qualsiasi ambiguità.


E questa originale e, per certi aspetti temeraria, costruzione   drammaturgica, alla quale è stato assegnato il Premio Scintille 2015, mostra alla fine una sua indubbia   dignità e felicità espressiva.  Anche la scelta degli stacchi musicali (Luca de Marinis) che dovrebbero accompagnare il momento supremo della dipartita sono azzeccati, ma “marce funebri e requiem” reggono poco per far posto a musiche più moderne con lo sconcerto sempre più evidente della Morte.

Alla fine, addirittura, il ritmo di samba della famosa canzone di Jobim, “Águas de marςo”, con la lunga, dolce tiritera che finisce con le parole “…a promessa de vida no teu coracão”, che già aveva più volte convinto il suicida a rinunciare al suo gesto, stempera ulteriormente il dramma, come una specie di inno alla vita, questa sì immortale.

Visto il 28-01-2016
al Menotti di Milano (MI)