Lirica
SULL’ESSERE ANGELI / PAGLIACCI

Essere Angeli e Pagliacci: la realtà aumentata scava nella mente dei personaggi

Pagliacci
Pagliacci © Anna Gugliandolo

Il Carlo Felice di Genova ha inaugurato la sua stagione 2021/2022 con un dittico dall’accostamento ardito: prima il balletto contemporaneo Sull’essere angeli, poi un classico dell’opera verista come Pagliacci.

Oggetti scenici agli antipodi, ma uniti da due fil-rouge labili e forti allo stesso tempo: da una parte la realtà che irrompe nella vita dell’artista e la stravolge, annientando il confine tra vissuto e finzione; dall’altra il percorso della donna negli ultimi due secoli verso l’autodeterminazione e la consapevolezza di sé, con il pericolo costante e concreto di esiti infausti.

> GLI SPETTACOLI IN SCENA <


La mano di Claudio Orazi si è vista anche in questa occasione (il sovrintendente è al Carlo Felice dall’1 ottobre 2019). Nonostante il blocco quasi totale dell’attività a causa del Covid, Orazi è riuscito a mostrare la sua propensione per scelte coraggiose e di rottura, portando in scena opere complesse e sconosciute al grosso pubblico. L’anno scorso era toccato a “Il Trespolo tutore” di Alessandro Stradella: commedia per musica mai più replicata dalla fine del XVII secolo e di difficilissima lettura per molti motivi, tra cui la sparigliatura di voci e generi sessuali.

Un angelo vola e muore sul palco

Quest’anno è stata la volta di Sull’essere angeli, un balletto praticamente sconosciuto a chi non frequenta assiduamente le scene internazionali della danza: musica contemporanea rarefatta per flauto solista e orchestra, composta da Francesco Filidei appositamente per Mario Caroli, che qui ne è anche esecutore. 


Coreografia di Virgilio Sieni trasformata in materia vivente da Claudia Catarzi: ballerina che con il gesto e il perfetto movimento plastico è riuscita a compiere la catarsi (si perdoni il gioco di parole) che era necessaria dal momento stesso in cui l’autore aveva deciso di portare in scena ed elaborare un materiale umanamente doloroso come questo. Una catarsi obbligatoria ma non così scontata. Osservare il balletto, infatti, non era sufficiente a capire cosa c’era oltre la forma trasformata in vita pulsante da Claudia Catarzi.

Dal titolo Sull’essere angeli bisognava perciò risalire a On being an angel, la raccolta di fotografie scattate da Francesca Woodman, fotografa americana morta suicida nel 1981 ad appena 23 anni. Woodman si era uccisa perché riteneva di avere raggiunto il top di quello che poteva creare e comunicare e non voleva inquinare il risultato con la sua sopravvivenza.


L’interazione flauto-gesto è stata perfetta: e meno male, perché un materiale del genere non ammetteva sbavature. Catarzi nasce, con il gesto esplora il mondo e il suo stesso corpo, tra le suggestioni evocate dalle linee orizzontali e verticali che si alternano nella scarna scenografia evocando l’esperienza spaziale e temporale, e poi ritorna da dove era venuta: lasciando un sentimento di pacificazione, nonostante tutto.

Pagliacci apre scenari con la realtà aumentata

Dopo il balletto, è arrivato un Pagliacci letteralmente reinventato da Cristian Taraborrelli (Qui la nostra recente intervista) che ha curato regia, scene e costumi, con un innesto potente della cosiddetta realtà aumentata. In pratica in questo Pagliacci ci sono tre diversi livelli di rappresentazione scenica


C’è la realtà fisica, gli oggetti di scena che vedono e toccano gli attori-cantanti, riassunti anche metaforicamente dalla vera terra con foglie autunnali che ricopre il palco. Poi c’è la realtà aumentata che vedono gli spettatori in sala: e così sul palco c’è Nedda che canta appoggiata a un pozzo, mentre sul maxi schermo a led che sovrasta il palco ci sono Nedda e il pozzo immersi in un bosco (Sarà possibile vedere il terzo livello solo giovedì 16 dicembre 2021, quando Pagliacci sarà trasmesso su Rai 5). Ci sarà l’innesto di altre quinte, altri oggetti scenici, con una diversa relazione - soprattutto psicologica - tra attori e ambienti.

Taraborrelli infatti è un visionario scenico che utilizza la tecnologia più evoluta per portare a un livello superiore l’interazione tra spettatore e attore/cantante. Con il suo lavoro trascende la materia, la crea dove non c’è e la rende iper-reale, e quindi assoluta. In questo Pagliacci il regista ha agito su tutto ciò che non è canto, spalleggiato dalla costumista Angela Buscemi che gli ha retto il sacco nelle transizioni dall’ambientazione verista normale alle proiezioni in un non-tempo che diventa universale.

Serena Gamberoni, una Nedda sexy e volitiva

La mano di Taraborrelli si vede appena si accende la luce sul palco, nella distribuzione degli spazi, delle linee e degli scarsissimi oggetti scenici. C’è aria, negli allestimenti di questo regista e scenografo, aria che si riempie di luci e colori: un po’ con i mezzi tecnici tradizionali, un po’ con le elaborazioni al computer. Un cast di primissimo livello ha retto e sostenuto la sfida. 

Il soprano Serena Gamberoni è stata una Nedda/Colombina credibile, sexy e volitiva al punto giusto (Qual fiamma avea nel guardo, atto 1°): una donna lanciata verso una volizione e autodeterminazione ancora premature per i tempi e quindi destinate al fallimento. 

Fabio Sartori, imponente nella  voce tenorile e nella stazza fisica, ha dato la pesantezza necessaria al ruolo di Canio/Pagliaccio interpretando nel modo che ti aspetti e che reputi necessario l’aria-simbolo di tutta l’opera: Vesti la giubba, più conosciuta come Ridi Pagliaccio


Sebastian Catana, baritono che ha dato consistenza umana alla personificazione del Prologo (Si può?), dopo pochi istanti è incappato in una stecca che ha sconcertato la sala, ma da cui si è ripreso con grande autorità: infatti dopo è stato un ottimo Tonio/Taddeo, impersonando alla perfezione la banalità del male che prende il sopravvento nel cuore dell’uomo innamorato e respinto. Adeguati, negli spazi previsti dalla trama, Matteo Falcier nel ruolo di Peppe/Arlecchino (Canzone di Arlecchino, Atto 2°), e Marcello Rosiello nel ruolo di Silvio, il campagnolo amante di Nedda.

Teatro nel teatro, la realtà sfuma

Alla prima nota è subito teatro nel teatro, con i confini tra finzione e realtà che diventano così labili da sparire quasi (Comare, mi fa piangere! Par vera questa scena!).

Lo spettacolo racconta e analizza sé stesso, con gli oggetti di scena che diventano ingombranti e si prendono tutto lo spazio. Il fondale è uno schermo a linee verticali di luce che scompone le immagini in movimento e quindi scompone la realtà. Spesso le immagini sono quelle di nuvole frammentate che il movimento incessante ricompone, ma anche i volti e le espressioni degli attori: non registrati ma ripresi in tempo reale. Un lavoro in più che i cantanti lirici, abituati alla protezione offerta dalla distanza tra palcoscenico e platea, non erano abituati a fare.


Sullo schermo e sugli oggetti (per esempio una grande sfera) vengono proiettati i pensieri, le suggestioni,  il vissuto dei personaggi, i fatti che stanno avvenendo altrove: come la parata del circo. Una parata con il contorno dei suoi oggetti di scena paradossali, onirici e simbolici. Per esempio c’è l’immagine di un’enorme giostrina che gira: poi quando Nedda/Colombina entra in scena si capisce che non era una giostrina ma la sua gonna corta e ammiccante di lustrini. 

Le immagini sollecitano lo spettatore a un livello ulteriore e simbolico di lettura, la terra che ricopre il palco inchioda spettatori e attori a un destino già scritto. Per lo spettacolo nello spettacolo Angela Buscemi immagina abiti adatti a una serata danzante degli anni 20 e 30 per Nedda e Silvio, che aspirerebbero alla libertà e alla modernità, e sceglie invece un look più tradizionale per Canio e Tonio, che rappresentano il passato che si àncora a sé stesso.

Taraborrelli visionario

Spiega Taraborrelli nelle note di regia: “Pagliacci è come un tempesta nera che si abbatte sulle fragilità umane. Un groviglio contorto di passioni che ferisce in pancia: amore, gelosia, odio, ferocia. Questo continuo movimento dell’anima esige un universo visivo senza confini, mutevole, plasmabile nel tempo e nello spazio. Un nuovo spazio tridimensionale emozionale, in cui i cantanti vivono le loro molteplici vite osservate da telecamere dal vivo”. 

La realtà aumentata ci prova, il 16 dicembre su Rai 5 si vedrà se ci è riuscita.

Visto il 10-10-2021
al Carlo Felice di Genova (GE)