Cristina Comencini scrive e dirige un nuovo spettacolo, Tempi Nuovi, giocato interamente sul peso che il “nuovo”, il cambiamento, il presente di oggi che corre irrefrenabilmente verso il futuro può avere nel modo di affrontare la vita e nelle relazioni interpersonali.
Ennio Fantastichini e Iaia Forte sono marito e moglie con alle spalle un matrimonio vissuto pienamente e felicemente, costruito sulla fiducia e sul dialogo costante.
Generazioni e tecnologie a confronto
Storico lui, giornalista lei, i due affrontano in maniera diversa “l’avvento” dell’informatizzazione e tutto ciò che ne deriva. Di mente più aperta lei, segue un corso di aggiornamento per entrare appieno nei cambiamenti e governarli in senso lavorativo, più riflessivo e introverso lui non accetta il progresso come facente parte della sua vita e lotta contro di esso con i denti e con le unghie, scontrandosi naturalmente soprattutto con il figlio appena adolescente, “lanciato” nel mondo dei social network, negli eventi in tempo reale e nella leggerezza con la quale a quell’età si vivono i rapporti fra amici e non solo.
In questo clima di vivaci scambi di opinioni arriva come un fulmine a ciel sereno una notizia che, sorprendentemente, sconvolge più Sabina (Iaia Forte) che Giuseppe (Ennio Fantastichini): la loro unica figlia femmina rivela ai genitori di essersi innamorata di una donna e di voler fare un figlio con lei. I ruoli si capovolgono e Giuseppe si ritrova improvvisamente da uomo di storia dai sani valori ormai andati a promotore di una situazione sicuramente imprevista ma del tutto comprensibile e accettabile. Il capovolgimento è esilarante e porta con sé tutto il peso del gap generazionale che separa i genitori dai figli, rendendo la pièce una divertente messa in scena di quello che le diverse convinzioni possono provocare nelle relazioni interpersonali.
Un mondo forse fin troppo 2.0
In un presente dove tutto è collegato e vissuto in tempo reale il cambiamento è pressoché inevitabile anche nell’indole dell’essere umano e così, paradossalmente nell’ultimo quadro dello spettacolo, a seguito di un trauma non ben specificato Giuseppe si ritrova a diventare un cosiddetto animale sociale nell’accezione più inclusiva del termine: perennemente con lo smartphone in mano, ossessionato dai social network e dalle visualizzazioni dei contenuti da lui pubblicati, perfettamente nel mood del linguaggio spicciolo e dal sapore british che contraddistingue il mondo 2.0. I familiari, esasperati da questo cambio di personalità fin troppo evidente, cercano di riportarlo alla realtà tramite gli oggetti da lui amati per un’intera vita: i libri. Quegli stessi libri che riempiono la scena tramite scaffali e scaffali perfettamente impilati gli uni sugli altri in un tripudio di cultura, tanto necessaria da essere ancora una volta la chiave risolutiva di una situazione fin troppo “al passo con i tempi”.